Dove vanno a morire le spie russe ‘dismesse’ o ‘riciclate’? A Londra: avvelenate, non è mai chiaro da chi e perché, per strada o al ristorante; oppure, nel proprio letto, com’è accaduto, la scorsa notte, a Nikolai Glushkov, amico intimo del defunto oligarca Boris Berezovsky – aveva 68 anni e le cause del decesso non sono affatto chiare.

La notizia della morte di Glushkov, che forse non c’entra nulla, ma è solo coincidente, getta un velo di mistero ulteriore sull’oscura vicenda dell’avvelenamento di Sergey Skripal e della figlia Yulia, trovati accasciati su una panchina di Salisbury, nel sud dell’Inghilterra, con tracce di gas nervino – versano tuttora in condizioni critiche.

Dico subito che io non ho informazioni di prima mano su queste vicende e sulle inchieste in corso e che, quindi, non ho nulla da aggiungere al rullo delle notizie di cronaca. Ma rilevo, dalla repentinità delle scelte di campo della politica, a fronte delle mancanza di certezze degli inquirenti, come esse siano un ennesimo capitolo della crescente – e per molti versi motivata – diffidenza dell’Occidente per la Russia di Vladimir Putin, che domenica riceverà l’investitura elettorale a un quarto mandato presidenziale.

Quello che ci dà la misura della nuova Guerra Fredda in cui siamo entrati non è questa ‘spy story’, che altre ne evoca. Cyber-spionaggio e cyber-propaganda, ingerenza nei meccanismi decisionali altrui – istituzionali e democratici -, sostegno (magari riuscito) al ‘manchurian candidate’ di turno: l’arsenale del conflitto tra Mosca – e non solo – e l’Occidente è più articolato e probabilmente più pericoloso del ‘bottone rosso’ con cui Kim Jong-un porta avanti la battaglia per la sopravvivenza del suo regime.

Lunga vita, se possibile, a Skripal e soprattutto alla giovane Yulia. Ma, da che mondo è mondo, le spie fanno un mestiere pericoloso; e i transfughi sfidano la diffidenza dei nuovi padroni e la vendetta di quelli ‘traditi’. Il che non ne giustifica in alcun modo l’uccisione, ma ci dovrebbe risparmiare tutta la recita dello stupore e dell’indignazione per comportamenti tradizionalmente reciproci – e sempre deprecabili.

E, invece, la politica, con prontezza, quasi con precipitazione, sovrappone all’informazione in fieri la propaganda e un’escalation di misure e contromisure. Theresa May dà un ultimatum a Mosca per fornire spiegazioni sull’avvelenamento, in assenza delle quali Londra minaccia ritorsioni, tra cui la chiusura di Russia Today nel Regno Unito. Il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov replica: “Se Londra chiuderà Russia Today, i media britannici saranno banditi dalla Russia”, definendo tutta la vicenda una “colossale provocazione internazionale”, perché “la Russia è innocente”.

Il presidente Usa Donald Trump chiede a Mosca di “fornire risposte non ambigue su come” l’arma chimica usata contro Skripal e prodotta in Russia “possa essere stata usata nel Regno Unito”. Ma proprio Trump licenzia il segretario di Stato Rex Tillerson il giorno dopo che s’è spinto troppo in là nell’accusare Putin.

Schermaglie e contraddizioni che non avvicinano la verità e non offrono alle opinioni pubbliche elementi probanti, ma che allargano il solco – già fatto di diffidenze, sanzioni e impuntature, oltre che di nuove missili, provocazioni tecnologiche e comportamenti predatori – tra la Russia e l’Occidente.

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