La marea femminista è tornata nelle strade ieri non solo in Italia ma in molti paesi del mondo per dire basta alla violenza contro le donne tra scioperi e manifestazioni. “Se le donne si fermano si ferma il mondo” con questo grido a Roma si è mosso il corteo ricordando lo sciopero dalle aspettative di genere e dai ruoli promosso da Non una di meno, la rete che si muove a livello globale e che ha invitato le donne a manifestare e ad astenersi da attività produttive e riproduttive in 70 Paesi del mondo. Decine sono state le iniziative contro il femminicidio, ovvero contro qualunque forma di violenza inflitta alle donne per punirle della trasgressione al ruolo che viene imposto loro da una cultura sessista che nutre discriminazioni e disparità politiche e d economiche.

Nelle piazze si è parlato anche del fenomeno delle molestie sessuali sul lavoro che da ottobre dopo lo svelamento dei ricatti sessuali di Harvey Weinstein, ex produttore della Miramax, (fresco di rinvio a giudizio) ha dato avvio al #MeToo e allo svelamento di un fenomeno che è ancora troppo sommerso. In molte sale è stato visto il film di Marco Tullio Giordana “Nome di donna” anche con proiezioni promosse da D.i.RE (che ha pubblicato in occasione dell’8 marzo un report sulle attività dei Centri antiviolenza) per confrontarsi con il pubblico sul tema delle molestie nei luoghi di lavoro e sul ruolo del cinema per promuovere un cambiamento culturale che possa davvero contribuire a prevenire la violenza contro le donne.

La giornata di ieri ci dimostra che il movimento femminista dato per morto decine di volte negli ultimi trent’anni è più vitale che mai e allaccia nodi oltre i confini dei Paesi ma in questo momento storico convive con spinte reazionarie e autoritarie perché, per dirlo con le parole di Lea Melandri: “Siamo risospinti a servitù antiche, chiusure nazionaliste, rivalse del maschilismo (su Internazionale).

Ma in Italia l’ampio respiro degli obiettivi politici del movimento delle donne non trova spazio negli asfittici progetti politici dei partiti italiani. Non aver contrastato alla radice le disuguaglianze di genere è una scelta politica che si riflette sui diritti e sulle condizioni di vita delle donne. Quando svelano violenze pagano cara, come è avvenuto ad Antonietta Gargiulo, l’ inadeguatezza delle risposte istituzionali. Pagano con la loro salute e talvolta la vita, l’obiezione di coscienza alla 194. Infine pagano il prezzo più alto delle disparità economiche. Al centro della lotta politica del movimento c’è anche il problema della violenza economica non solo quella perpetrata da compagni e aziende ma anche quella prodotta da un sistema politico ed economico che si fa complice di sfruttamento e sottrazione di diritti che colpisce anche gli uomini ma con maggiore forza penalizza le donne e le rende maggiormente esposte alle molestie sessuali e ai ricatti sul lavoro. 

Se è vero che ogni partito si è presentato alle elezioni citando nel proprio programma la violenza contro le donne nessuno riconosce ha detto Nudm: “il carattere sistemico della violenza e senza mai porre realmente in questione i rapporti di potere vigenti. Contro ogni strumentalizzazione, contro il razzismo fascista e quello istituzionale, che usano i nostri corpi per giustificare la violenza più brutale contro le migranti e i migranti e ulteriori restrizioni alla loro libertà di movimento, rivendichiamo la nostra autonomia e ribadiamo la necessità o la volontà di autodeterminarci. Il piano su cui ci interessa esprimerci è il Piano femminista contro la violenza maschile e di genere, il nostro terreno di lotta e rivendicazione comune, scritto da migliaia di mani in un anno di lotte. Grideremo a tutto il mondo che non siamo il campo di battaglia né il programma lettorale di nessuno. Abbiamo il Piano femminista per riprenderci ciò che vogliamo. Occuperemo lo spazio pubblico per riaffermare la nostra autonomia e forza politica “. 

@nadiesdaa

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