E adesso è il momento dell’analisi della sconfitta. La cosa che la “sinistra” (si fa per dire) di questi anni sa fare peggio. Un consiglio non richiesto ai generali della disfatta di Pd e LeU: rileggetevi un po’ di storia del Partito comunista italiano. Bastava un calo di mezzo punto alle elezioni comunali di Castellammare di Stabia (storica città operaia della Campania) e a Roma, via delle Botteghe Oscure, si discuteva per giorni. Si analizzavano le varie sezioni elettorali, la composizione sociale dei quartieri, si andava davanti alle fabbriche per capire cosa si era rotto nel rapporto di fiducia con gli elettori, dove il Partito aveva sbagliato. Storie e partiti di una volta. Lo scenario che ci offrite oggi è lo squallore di scontri senza idee.

Il partito non analizza, la base non ha voce, il crollo è l’occasione per un ulteriore e forse definitivo regolamento di conti tra gruppi di potere. La valanga grillina è stata inarrestabile soprattutto al Sud. Il voto ai Cinquestelle da Roma alla Sicilia è un atto di ribellione chiarissimo che covava da tempo. Bastava girare per le periferie di Napoli, Reggio Calabria, Palermo, Bari, per accorgersi che la gente cercava qualcuno cui affidare la propria disperazione. Proposte e volti nuovi, freschi. Bastava frequentare qualche treno nei fine settimana (vi consiglio l’Intercity Napoli-Torino) per vedere i volti di quei meridionali che vanno su al Nord a fare i lavori più umili, oppure scegliere uno dei vari terminal bus giù a Lamezia Terme e prendere uno dei tanti pullman che vanno in Germania e portano giovani. Non solo cervelli in fuga, no, ma anche manovali, operai, pizzaioli.

Invece no, avete preferito altre frequentazioni, vi siete barricati nelle vostre certezze. Con le candidature, poi, avete dato il peggio. Volevate vincere in Irpinia candidando il nipote di Ciriaco De Mita mentre i Cinquestelle mettevano in campo Generoso Maraia, non un miracolato del web, ma un ragazzo con un passato di impegno e lotte sociali. E a Napoli, quelli candidano Franco Ortolani, scienziato e geologo impegnato fin dal terremoto del 1980 per la sua terra, uno che ha denunciato sprechi e fallimenti, e voi gli opponete vecchie cariatidi, notabili che hanno perso tutte le battaglie possibili. Per non parlare di Salerno e di quella orrenda saga familiare rappresentata dai De Luca. In Lucania pensavate di dare una risposta ai drammi della disoccupazione, allo sfruttamento selvaggio della Val D’Agri da parte delle compagnie petrolifere con Francesca Barra.

E poi Liberi e Uguali. Leggo una dichiarazione di Arturo Scotto, uno dei leader, e rimango di sale. “Siamo stati percepiti come una variante del sistema da abbattere”. Bravo, hai capito tutto. Ma ti potevi sforzare prima, quando avete fatto le liste con in mente un solo obiettivo: autoriprodurvi. Prendi la Calabria, dove avete fatto di tutto per garantire un vostro uomo, Nico Stumpo. Un burocrate, un manovratore di congressi, il padrone delle tessere. Per riaverlo in Parlamento non avete scelto la Calabria migliore, quella che lotta. Due nomi, Mimmo Lucano, il sindaco di Riace. Un “santo laico” che a Montecitorio avrebbe saputo e potuto parlare di immigrazione e accoglienza, perché la fa, ha imposto un modello, e per questo è sotto attacco. E Gianni Speranza, sindaco di Lamezia per dieci anni, raccolse il Comune dopo anni di commissariamento per mafia, dopo di lui Lamezia è stata riconquistata dalla destra e di nuovo sciolta.

Vogliamo parlare della Sicilia, della candidatura di Guglielmo Epifani in tutti i collegi? C’è un appello di Claudio Fava che chiede all’ex segretario della Cgil di dimettersi e di lasciare spazio a Maria Flavia Timbro, seconda degli eletti, ma soprattutto giovane professionista impegnata. “Chiedete a Epifani di fare un passo indietro – scrive Fava – Rimediate a una tessitura delle liste fabbricata su misura per amici, sodali e compagni di corrente. E permettete ad una compagna brava, che di quel collegio è espressione vera perché ne ha raccolto uno ad uno voti e lamenti, di rappresentare la Sicilia in Parlamento. In caso contrario, abbiate almeno il pudore di non dire che questa sconfitta vi ha insegnato qualcosa”. No, la sconfitta, come la storia, ha pessimi allievi. Sordi e ciechi.

E per favore, evitateci le vomitevoli battute su un Sud che ha votato in massa per i Cinquestelle perché abbagliato dalla proposta del reddito di cittadinanza. Ho girato molto in questa campagna elettorale e vi assicuro che non è così. La molla principale, direi esclusiva, del voto a Di Maio e soci è una sola: lo schifo che al Sud provano nei vostri confronti.

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