Non è più nemmeno il tempo dei cliché, delle vecchie storie, delle reliquie. Si potrebbe raccontare di Cavriago, il paese con il busto di Lenin: neanche lì, poco fuori Reggio Emilia, il Pd è più il primo partito, superato dai Cinquestelle perché più che la rendita (che è diverso dalla tradizione) doveva essere ascoltata Orietta Berti, che qui vive. Si potrebbe raccontare di Livorno, dove venerano il ceppo più grosso dell’albero genealogico del Pd e dove il seggio è scattato con una fatica boia, con Andrea Romano – vabbè, sì, Romano – che per scrollarsi di dosso un leghista di Cecina c’ha dovuto mettere tutta la notte. Si potrebbe raccontare di Lamporecchio, vicino a Pistoia, che non è famosa solo per i brigidini, ma anche perché a un certo punto, nel 1980, diventò il Comune “più rosso d’Italia” col Pci al 75 per cento e Berlinguer che volle venire in visita: il Pd qui è ancora il primo partito, ma la Lega ha preso il 18,7. Si potrebbe raccontare, ma forse è già stato fatto, una volta dopo l’altra, un anno dopo l’altro: alle Comunali, alle Regionali, al referendum. Spiegavano che in fondo non c’era alcun problema e nel mentre un altro pezzo veniva giù e tutte le parole (roccaforti, regioni rosse, collegi blindati) perdevano di senso. Finché, ora, quello che la retorica stanca chiama ancora “rosso” è diventato una ridotta, qualche macchia qua e là, mescolata al blu, nascosta in mezzo al giallo. La sinistra è scomparsa, le Regioni rosse non esistono più, restano macerie anche della memoria, all’improvviso sembra una foto ancora più ingiallita, il secolo scorso finalmente remoto.


Più che le parole, una volta di più, il senso lo danno i numeri. Il più grande dice che il Pd nel 2013, un’elezione fa, aveva 8 milioni e 644mila voti e ora ne ha un po’ più di 6 milioni: sono spariti 2 milioni e 600mila elettori. La scissione è solo un segmento del problema, perché Liberi e Uguali ha raccolto un milione e 100mila voti. Gli elettori di centrosinistra sono in fuga. Da anni.

Al primo colpo di zoom i numeri diventano più simbolici. La Toscana, per esempio: il centrosinistra ha perso la sfida degli uninominali alla Camera 9 a 7 e è davanti al centrodestra solo di un punto, 33 per cento contro 32. Cinque anni fa la coalizione di Bersani e Vendola prese il 41 e fischia e il solo Pd contribuì con il 37 e mezzo: oggi non supera il 30, si paralizza al 29. Per forza di cose Deborah Bergamini, eletta nel collegio di Massa Carrara dove ha battuto l’ex sottosegretario Cosimo Ferri (uno di destra imbarcato da Renzi), non vede l’ora di votare ancora, e ancora: “Siamo pronti a governare la Toscana”. In Emilia Romagna invece il sorpasso c’è già: il centrodestra è al 33 dopo aver scalato 13 punti in cinque anni, il centrosinistra è al 30, schiantato giù dal 40 del 2013. Il Partito Democratico, nella regione delle feste dell’Unità è ormai al 26,4 e non è più il primo partito, perché superato di un punto dal M5s.

In modo quasi omogeneo e diffuso, da Pisa a Ravenna, da Ferrara a Siena, il Partito Democratico ha perso 9, 10, 11 punti ovunque. Non ha più l’Umbria che ora è salda su una base di centrodestra. Non ha più le Marche che spingono i Cinquestelle al 35 e non solo. In Toscana Pisa crolla dal 36,6 al 24,9 perdendo pure la sfida uninominale (vittima sacrificale la ministra Valeria Fedeli): il primo partito è il M5s e sotto la Torre il prossimo anno si vota il nuovo sindaco.

In Toscana il Pd ha anche perso i collegi uninominali di Massa, Lucca, Prato, Pistoia: negli ultimi due casi i candidati erano parlamentari uscenti (Edoardo Fanucci e Benedetto Della Vedova). Il centrosinistra aveva perso già una volta il sindaco di Prato ma credeva che fosse solo un incidente della storia, di aver sistemato tutto riconquistando il Comune. Poi, lo scorso anno, aveva perso anche il Comune di Pistoia, ora guidato da un sindaco di Fratelli d’Italia. Ma anche in quel caso si ridusse tutto a questione locale. Come a Livorno, quando ancora il Pd crede che la vittoria dei Cinquestelle sia stata causata da un destino cinico e baro. E’ da qui che, ancora una volta, arriva una delle chiavi di lettura: il M5s che governa la città, sottolinea l’istituto Cattaneo, perde a favore di Lega e astensione: eppure riesce a rubare al Pd la bellezza di 8 punti totali.

Il Pd è stretto in una morsa. A Ferrara il primo partito è la Lega, al 25,5: i democratici sono al 24 e partivano dal 35 del 2013. Anche dove vince, dove non può non vincere, dove un tempo vinceva senza candidato, come nel cuore dell’Emilia, il Pd perde: tra i collegi di Reggio e Scandiano raccoglie tra il 28 e il 29 e si fa sbiadito il ricordo del 41 per cento di cinque anni fa, molto prima dell’altro 41 per cento, il più celebrato, diventato ossessione. A Reggio Emilia il partito guida è ora il M5s che dondola tra il 28 e il 30. Dove il Pd aveva già cominciato a soffrire, sulle terre di confinte dell’Emilia con la Lombardia, va sempre peggio: a Piacenza il Pd è al 17, sotto la media nazionale, contro il 28 del 2013. Il M5s è al 23 e la Lega sfonda tutto fino al 28, una performance da provincia di Treviso: la morsa. Come il crollo di un edificio da demolire, che viene giù dritto per dritto, in Romagna il Partito Democratico precipita dal 36 al 25 a Cesena.

Così il Pd si riscopre piccolo piccolo, si ritrova solo nel centro delle città più grandi: Milano, Roma, Torino, Firenze, Bologna. Lì il partito sembra irriconoscibile perché il calo rispetto a 5 anni fa è nell’ordine di qualche punto percentuale. Nei collegi uninominali di Milano il centrosinistra elegge alla Camera Mattia Mor, Bruno Tabacci, Lia Quartapelle  e al Senato Tommaso Cerno con il partito che resiste al 28 per cento, cioè un pelo meno dell’altra volta, rimanendo il primo partito. A Torino, nei quartieri centrali, vincono Stefano Lepri e Andrea Giorgis, anche loro spinti dal Pd che fa – come ai bei tempi – il primo della classe. A Roma Marianna Madia, Paolo Gentiloni, Patrizia Prestipino e Riccardo Magi trasformano in rosso le zone di Montesacro, Trionfale, Ardeatino, Gianicolense – peraltro non tutte zone di radical chic – perché il partito che li traina. A Bologna e a Firenze il partito perde parecchia quota (da 37 a 29, da 44 a 36) ma è capace di tenere la testa delle liste. Centro e periferia, salotti e Paese reale. O forse no. A Capalbio al Senato il primo partito è la Lega, alla Camera il M5s. Il Pd, terzo. “Il Pd ha dimostrato di pensare più ai disgraziati provenienti da oltre mare che ai nostri cittadini inseguiti da Equitalia – dice il sindaco – Avevo informato Matteo Renzi su queste problematiche ma fece finta di non ascoltarmi”. Neanche lui.

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