A fare da apripista, con le istanze dei primi soci della Banca Popolare di Vicenza, era stato alcune settimane fa l’avvocato Renato Bertelle di Malo, che aveva ottenuto il primo sequestro sui beni degli imputati per 15,47 milioni di euro. Ma il vero botto nell’inchiesta infinita che riguarda l’istituto di credito che ha avuto come presidente Giovanni Zonin lo ha messo a segno l’avvocato trevigiano Sergio Calvetti, che ha ottenuto un provvedimento da 175,99 milioni di euro, a tutela di circa 2.400 tra ex soci ed ex risparmiatori che si sono trovati con niente in mano. A firmare l’ordinanza di sequestro conservativo è stato il giudice per l’udienza preliminare di Vicenza, Roberto Venditti che sta conducendo l’udienza preliminare e che ha ammesso circa 5mila parti civili. Cominciano così a diventare importanti le somme formalmente congelate, non solo sui beni degli imputati, ma anche di terzi a cui gli stessi avrebbero cercato di cedere soldi o immobil: il totale ha ormai superato quota 200 milioni.

Il giudice ha autorizzato una somma pari alla metà di quanto richiesto. “La richiesta risarcitoria prospettata dalle parti civili – relativa al solo danno patrimoniale – corrisponde a una quantificazione massima fondata sul prezzo apicale o di acquisto dell’azione”, scrive il giudice Venditti, facendo riferimento a quei 62,50 euro per azione che costituirono il valore massimo, raggiunto – secondo l’accusa – grazie ai raggiri messi in piedi dai vertici della popolare vicentina. Ma perché un sequestro in misura ridotta? “La necessità di commisurare l’entità del sequestro conservativo, non già alla massima aspettativa risarcitoria attesa dalla parte civile, bensì a un dato maggiormente prudenziale legato alla prova del danno patito, che in questa fase non solo non è raggiunta, ma non è nemmeno quantificabile, impone di attestare l’importo del vincolo reale nella misura del 50 per cento del vincolo reale in misura pari al 50 per cento della richiesta”. È così che a fronte di 350 milioni di euro richiesti, si è arrivati a 176 milioni. E’ lo stesso ragionamento seguito nel caso dei sequestri ottenuti dall’avvocato Bertelle, che avevano raggiunto i 15, 47 milioni, mentre l’istanza era di 31 milioni.

Interessanti le motivazioni del gup a sostegno del sequestro conservativo nei confronti dei beni dei sei imputati (la posizione dell’ex direttore Samuele Sorato è stata stralciata) Giovanni Zonin, Massimiliano Pellegrini, Andrea Piazzetta, Emanuele Giustini, Paolo Marin e Giuseppe Zigliotto. Innanzitutto dimostra che il sequestro può essere concesso anche in fase di udienza preliminare, purché vi siano i requisiti della fondatezza dell’ipotesi accusatoria e dell‘urgenza della cautela.

Il giudice ricorda come i vertici della Popolare di Vicenza siano accusati di aver ostacolato le funzioni di vigilanza della Banca d’Italia e della Banca centrale Europea per coprire il sistema delle operazioni “baciate” e delle operazioni “svuota-fondo”. Nelle segnalazioni periodiche era indicata una “misura del patrimonio di vigilanza in misura superiore al reale, in quanto non comprensivo del controvalore delle azioni acquistate tramite i finanziamenti”, che non venivano segnalati. Questo sistema, che è ormai noto, copre diversi aumenti di capitale in un arco di tempo che va dal 2012 al 2015. E l’advisor Ernst&Young ha quantificato in 1,86 miliardi di euro “l’importo massimo degli acquisiti di azioni finanziato dallo stesso istituto”. Insomma, per il giudice c’è fumus nelle contestazioni della Procura.

Scatta poi il ragionamento sul patrimonio a garanzia “dell’importo rilevantissimo dei sequestri conservativi richiesti dalle parti civili”. Le indagini patrimoniali della Finanza “evidenziano che i patrimoni personali di ciascun imputato sono allo stato insufficienti ad assicurare il ristoro delle ipotetiche pretese risarcitorie”. Inoltre, le richieste si estendono “ai beni appartenenti a terzi soggetti, sul presupposto che costoro siano stati, in epoca successiva alla commissione dei reati ipotizzati, beneficiari di cessioni a titolo gratuito od oneroso di beni precedentemente appartenuti agli imputati”.

Un rapporto della Finanza dello scorso dicembre dimostrerebbe per tre imputati (Piazzetta, Zigliotto e Zonin) tentativi di alienazione di beni. Nel 2015 Andrea Piazzetta donava due immobili a Pederobba (Treviso) a un trust in Nuova Zelanda (legalmente rappresentato da Mario Gesuè). Le quote della società di consulenza Kernel Consulting erano poi state cedute alla moglie nel giugno 2016. Giuseppe Zigliotto (che fu presidente degli Industriali di Vicenza) nel 2016 aveva “donato l’intero proprio asset immobiliare a Matteo Vigolo (una villa e terreni a Longare) nonché alla ex moglie Lucia Donati (un’abitazione e un magazzino a Ravenna) risultando alla data attuale totalmente spogliato di proprietà immobiliari senza alcun corrispettivo”.

E Zonin? “Non dissimile la sua posizione, tra la fine del 2015 e il 2016 sottoponeva il suo patrimonio immobiliare e mobiliare a un’intensa attività di trasferimento in favore dei membri della famiglia … il figlio Michele e la moglie Silvana Zuffellato”. Inoltre avrebbe ceduto (per un controvalore dichiarato di 10 milioni di euro) quote di “Tenuta Rocca di Montemassi”, il 5,38 per cento di Casa Vinicola Zonin spa, tutte le partecipazioni (cedute ai figli Domenico, Francesco e Michele) di “Gianni Zonin Vineyards” e “Zonin Giovanni”. Ecco che il sequestro riguarda anche questo patrimonio, di cui fanno parte la villa in Contrà Pozzetto 3 a Vicenza e un immobile a Montebello Vicentino.

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