A giocare col ruolo di favorito è sempre stato abituato, sin da piccolo. Kobe Bryant, l’ormai leggendario ex campione del basket Nba e bandiera dei Los Angeles Lakers, l’ha dovuto fare per circa venti anni sui parquet americani. A quasi due anni dal ritiro e a pochi mesi dal compiere quaranta anni pare stia per cogliere un altro successo, non del tutto inaspettato ma grandioso. L’obiettivo non è più l’anello Nba ma il Premio Oscar.

Il 23 gennaio scorso ha ricevuto una candidatura all’edizione numero 90 dei premi che il 4 marzo saranno assegnati dall’Academy of motion picture arts and sciences. Kobe, insieme a Glen Keane concorre nella categoria miglior cortometraggio d’animazione con Dear Basketball, ispirato alla sua lettera di addio al basket. Il quintetto dei candidati, è agguerrito: Lou della Pixar, Garden Party, Negative Space e Revolting Rhymes sono gli avversari di Dear Basketball che parte però da favorito, lanciato dal successo ai recenti Annie Awards. Le armi di Kobe non sono più atletiche ma la suggestione che ancora provoca negli americani la sua storia e il basket in generale può portare l’Oscar fra le possenti mani di Black Mamba.

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Delicatissime sono state sicuramente quelle di colui che ha disegnato le scene e trasformato Bryant in fumetto. Glen Keane è il nome dell’animatore, che del documentario in questione è anche regista, famoso per diversi film animati della Disney (Bianca e Bernie, Alladin, Red e Toby, Pochaontas per citarne solo alcuni). Questo signore nato a Filadelfia nel 1954 che al massimo avrà tifato i Sixers, la squadra della sua città e ammirato Wilt Chamberlain, Doctor J, Charles Barkley o Allen Iverson, ha fuso con l’arte della sua matita, il pensiero del Bryant maturo che ripercorreva la sua vita e le aspirazioni da bambino di sei anni.


Il soggetto cui Kobe Bryant si rivolge è il basket, l’amore della sua vita a cui scrisse così, a conclusione della nota lettera:

Ci siamo concessi l’un l’altro tutto quello che avevamo. Ed entrambi lo sappiamo. Non importa cosa farò dopo, sarò sempre quel bambino con i calzettoni alzati, il cestino nell’angolo: 5 secondi sul cronometro, palla tra le mani 5… 4… 3… 2… 1. Ti amerò sempre, Kobe.

Se quel “dopo” sarà un premio Oscar, importa e come Michael Jordan con Space Jam e Shaquille O’Neill con Kazaam, film usciti entrambi nel 1996, non riuscirono a conquistare Hollywood mentre Kobe adesso può sognare ancora e oltre agli anelli, mettere in bacheca un Premio Oscar, sempre nel nome del suo caro basket.

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