Ultimo per scommesse e pronostici, ma non di certo per l’eccelso risultato finale, è il candidato ungherese Corpo e anima. Dentro agli uffici e ai laboratori di un macello di Budapest un’efebica silenziosa biondina addetta al controllo qualità viene abbordata dal più maturo, dimesso direttore finanziario che ha un braccio paralizzato ma grande autorevolezza professionale. Per via di un fatto increscioso, al macello giungono la polizia e una psicologa incaricata a risolvere il caso. Scopriamo così che i due protagonisti sognano ogni notte la stessa cosa: un cervo maschio e uno femmina che vivono liberi e si accoppiano selvaggi nella foresta. Impossibile rimanere indifferenti di fronte a questa onirica e fisica storia d’amore imbevuta di surrealismo tattile. Ildikò Enyedi riesce a rappresentare la ritrosia al tocco e il farsi toccare di lei, con l’impotenza rassegnata di lui, in qualcosa di figurativamente simbolico e altamente ipnotizzante. I problemi però per Corpo e anima sono legati alla tipologia specifica di questa categoria di Oscar. Questo genere di film – esplicitamente cerebrale e giocato su più registri drammaturgici – non ha praticamente mai avuto la dovuta attenzione agli Oscar (forse Bunuel con Il fascino discreto della borghesia e Petri con Indagine…). Corpo e anima è un premio sicuro in un festival come quello berlinese, ma ad Hollywood pur riconoscendone le qualità espressive rimane lì come un bel soprammobile tra tante scansie riempite in modo un po’ bulimico. Il film è stato acquistato a novembre 2017 da Netflix per la distribuzione nordamericana, ma non sarà molto d’aiuto per vincere l’Oscar. Infine l’Ungheria è la nona nazione più rappresentata agli Oscar come miglior film straniero: 10 nomination (praticamente ogni film di Istvan Szabo) e due Oscar vinti (Mephisto di Szabo nel 1981 e molto di recente Il figlio di Saul di Laszlo Nemes nel 2015).
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