Con un inusuale comunicato sul proprio sito, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) ha annunciato di voler intervenire su quelli che in gergo vengono chiamati sondaggi clandestini“, ovvero i sondaggi mascherati da corse di cavalli, di automobili o da conclavi cardinalizi, che in genere circolano nei 15 giorni precedenti le elezioni.

Questo intervento dell’Agcom è veramente singolare, sia nei modi che per il tema trattato. Nei modi, perché in genere un “giudice” che deve affrontare un tema in posizione di indipendenza, emette un provvedimento, lo comunica eventualmente alle parti, ma non lo commenta, né prima né dopo, attraverso un comunicato stampa in cui annuncia che agirà “severamente” nei confronti di qualcuno.

Va ricordato che il potere dell’Agcom di intervenire in tema di par condicio sul web è stato escluso in via generale, con riferimento alla legge 28 del 2000 il cui articolo 8 è dedicato ai sondaggi, da diversi interventi pubblici dal Presidente dell’Agcom, Angelo Marcello Cardani.

In proposito, il presidente dell’Autorità Cardani ha dichiarato al Tg1 parlando di campagna elettorale e par condicio in relazione alle nuove tecnologie. “E’ necessario che ci sia una normativa per il web, che non c’è. Al momento tutto ciò che avviene su internet non è sottoposto alla nostra giurisdizione. Il ricorso a strumenti nuovi è crescente e quindi ritengo che il Parlamento prima o poi debba esaminare la questione”.

E, sempre Cardani, a margine delle celebrazioni per il decennale dei Corecom, aveva ribadito che “ per il momento l’Agcom non ha strumenti a disposizione. “Occorre prima una valutazione quantitativa da parte del parlamento – aveva proseguito – ma penso che prima o poi sarà inevitabile intervenire sul tema”.

In proposito qualche tempo fa è accaduto un fatto veramente singolare: è successo che una società di sondaggi triestina, la Swg, aveva sviluppato un app per consentire agli utenti di controllare via smartphone e tablet le ultime rilevazione elettorali, anche nei 15 giorni antecedenti alle elezioni, ovvero in quel lasso di tempo in cui entrano in vigore i paletti della legge 28 del 2000.

L’Agcom prima ha autorizzato la commercializzazione dell’App, poi ha cambiato idea.

Secondo quanto scritto dalla stessa SWG “In un primo tempo, infatti, con argomentazioni precise, l’Agcom aveva escluso la possibilità che un’applicazione per smartphone e tablet a pagamento destinata al solo pubblico interessato potesse essere considerato un mezzo di comunicazione di massa e, pertanto, incluso tra quelli per i quali dovesse vigere il divieto di diffondere le intenzioni di voto, ma successivamente, con una comunicazione alquanto generica, ha ribaltato il precedente parere impedendo l’inserimento delle intenzioni di voto tra i contenuti dell’applicazione. Questo tardivo ripensamento, avvenuto senza alcun confronto con l’azienda – conclude la nota – ha causato ingenti danni economico- patrimoniali e d’immagine a Swg, di cui Agcom dovrà rendere conto”.

La cosa fece scrivere un commento estremamente salace ad un giornalista molto schietto ed apprezzato per la propria indipendenza, Massimo Mantellini, in un pezzo intitolato “i pareri a caso di Agcom”. “ Prima Agcom, interpellata appositamente e in via preventiva da SWG, ha scritto che la app per smartphone PoliticApp non si rivolgeva al mercato di massa e quindi poteva essere commercializzata. Poi visto che molti la scaricavano (maddai che strano!) e veniva pubblicizzata su Facebook hanno cambiato idea, e hanno deciso che non va più bene. Qualsiasi sia il vostro parere al riguardo della questione squisitamente tecnica vale la pena sottolineare che Agcom è un garante che non dà garanzie”.

Ora, senza scendere in polemica, va detto che la fonte del potere dell’autorità in materia di par condicio e sondaggi sul web appare veramente molto precaria, considerati anche gli interventi pubblici sulla carenza di poteri di intervento sul web del proprio presidente.

Le argomentazioni meta-giuridiche, che di solito si usano per giustificare questi poteri, ovvero che l’autorità sarebbe obbligata ad agire dalle norme positive, si scontrano con le evidenti contraddizioni emerse in questi anni, cosicché non appare esserci nessun obbligo in assenza di norme precise e circostanziate, che assegnino all’Autorità un potere reale di intervento sulla rete.

Così come non appare comprensibile la soddisfazione “postuma” di chi ritiene che i poteri siano esistenti, visto che nessuno sembrerebbe aver impugnato i provvedimenti dell’autorità.

La mancata impugnazione di un provvedimento, che deriva da considerazioni essenzialmente di natura economica, dovrebbe semmai preoccupare quando in gioco vi siano diritti importanti come quelli alla libera informazione ed espressione in rete.

Sarebbe invece utile ottenere un pronunciamento chiaro da parte dell’unica autorità competente nel nostro ordinamento ad estendere o meno l’applicazione di una legge (a parte il legislatore, ovviamente), ovvero un giudice della Repubblica.

A conclusione di questa storia, appare utile citare lo stesso Mantellini in materia di sondaggi sul web “Più fonti libere sono meglio di meno fonti vanamente contingentate, più sondaggi (veri o finti che siano) sono meglio di meno sondaggi e questo per uno scivolamento ideologico che Internet ha imposto quasi ovunque nel mondo e che in questo paese fatica ad essere accettato”.

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