La delocalizzazione delle medie imprese è un doloroso tema anche in Francia. Ma, a differenza di Roma, Parigi ha tentato di correre ai ripari con una norma ad hoc varata durante la presidenza di François Hollande. A più quattro anni di distanza è però in chiaroscuro il bilancio dell’applicazione di quella che fu ribattezzata la legge Florange, in ricordo del comune nell’Est della Francia in cui si trovava lo stabilimento che il gigante siderurgico Arcelor-Mittal abbandonò nel 2013. La norma francese è riuscita infatti solo in parte a mettere in sicurezza l‘occupazione nelle medie imprese. Si è concentrata sulle grandi realtà, meglio se quotate. Del resto, sin dall’inizio fu questa la missione volta dall’Assemblea nazionale che, contrariamente alle attese, varò un legge destinata a società con almeno mille dipendenti o che facessero parte di un gruppo con più di mille occupati. Senza peraltro prevedere la “nazionalizzazione” dell’impianto, come avrebbero voluto i sindacati, e solo successivamente la cessione. “Frutto di una promessa del candidato alle presidenziali François Hollande nel 2012, questo testo non soddisfa di fatto né la rappresentanza sindacale, che la giudica inutile, né le imprese”, commentò duramente il giornale La Tribune del 18 settembre 2013.

Insomma, il risultato non è stato quello che si attendevano i francesi. Del resto la delocalizzazione è un fenomeno che difficilmente si può bloccare per legge. In compenso la legge Florange viene puntualmente chiamata in ballo nei casi più difficili nel tentativo di mettere in sicurezza almeno in parte l’occupazione sul territorio nazionale. Ma che cosa prevede esattamente la norma francese che oggi alcuni osservatori italiani considerano un esempio da seguire? La legge Florange stabilisce che la proprietà di un’azienda con oltre mille impiegati o parte di un gruppo con più di mille dipendenti è sottoposta ad una serie di obblighi e sanzioni nel caso in cui decida di chiudere un impianto redditizio e spostare la produzione all’estero.

Nel dettaglio, la società dovrà innanzitutto informare il sindacato interno all’azienda almeno due mesi prima della fine delle attività. L’impresa dovrà inoltre provvedere a definire un documento con tutte le informazioni necessarie a valutare la situazione economica, finanziaria e sociale del sito. Inoltre dovrà cercare per almeno tre mesi un potenziale compratore nell’intento di salvaguardare i livelli occupazionali. Infine, il gruppo sarà tenuto a rispondere ad ogni offerta in modo motivato ed ad informare le autorità amministrative. Tutto questo per favorire il passaggio di mano dell’impianto evitandone la chiusura definitiva. Nel caso in cui la proprietà non ottemperi alle previsioni di legge, allora lo Stato può richiedere indietro eventuali incentivi pubblici incassati dal gruppo negli ultimi due anni o comminare una sanzione che potrà andare fino al 2% del fatturato. A deciderlo sarà la prefettura competente sulla base del rapporto sindacale e di quello dell’impresa nel caso in cui manchino o vengano rigettate delle offerte.

Fin qui, la parte che concerne le imprese i cui titoli non sono scambiati sul mercato azionario parigino. Ma la legge Florange è intervenuta anche sulle società quotate e ne ha rafforzato le difese introducendo automaticamente nello statuto il voto doppio per le azioni nominative detenute per almeno due anni da uno stesso socio. Di fatto, quindi, Oltralpe non è più necessario avere la metà delle azioni di un gruppo per avere la metà dei diritti di voto. Questo automatismo, cui può rinunciare l’assemblea dei soci con decisione a maggioranza qualificata, ha consentito allo Stato azionista di aumentare il suo peso nelle decisioni delle aziende di cui è socio come Edf oppure Orange. E’ forse l’aspetto più importante della legge Florange, che aiuta lo Stato francese a tutelare con maggiore forza i suoi “campioni nazionali” da cui discende buona parte dell’occupazione in azienda sul territorio nazionale.

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