Prima notizia. Sabato 24 febbraio pomeriggio in piazza della Loggia a Brescia ci sarà una manifestazione contro il razzismo promossa dalle associazioni rom e sinti d’Italia. E’ la risposta a uno stillicidio di atti di violenza e di intolleranza. Gli ultimi sono stati l’incendio delle macchine di una comunità sinti e due bombe carta in una comunità rom di Brescia, la molotov lanciata contro la casa di un sinti di Trento.

Nel clima così teso di questi giorni, dove altri atti di violenza sono sulle prime pagine dei giornali dei mezzi d’informazione, può sembrare strano che questi episodi non abbiano meritato che qualche breve notizia senza approfondimento o riflessione su cosa stia succedendo. Forse si considerano questi fatti parte della “normalità”. Se l’83% della popolazione percepisce rom e sinti come “zingari sporchi, brutti e cattivi, se una parte della politica annuncia che quando andrà al potere risolverà il “problema rom” in sei mesi – non si sa se solo con le ruspe o anche con quali altri sistemi – si può anche capire che ai mezzi di informazione non importi più di tanto di qualche auto zingara bruciata, di qualche bomba carta su qualche baracca.

Seconda notizia. Mercoledì 14 Febbraio è stato presentato a Roma il primo Istituto europeo di Arte e cultura rom (Eriac), fondato dal Consiglio d’Europa, dall’Open society foundations e da Alliance for european Roma Institute for Arts and Culture.

L’iniziativa, promossa da Eriac, dal Consiglio d’Europa, dal Programma internazionale culturale del ministero degli Affari esteri della Repubblica Federale Tedesca, da Open Society Foundations, da Alliance for Eriac in collaborazione con l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali e l’associazione Upre Roma, si è svolta nella sede dell’Ufficio antidiscriminazioni razziali (Unar) con la partecipazione di parlamentari, docenti e artisti, oltre alle comunità romanì.

L’Eriac è stato un sogno per molte generazioni di rom e sinti in Europa. Nel 1971, nel primo congresso mondiale, intellettuali e attivisti rom hanno stabilito le fondamenta della nostra autodefinizione: non siamo zingari, siamo rom, cioè uomini. In quell’occasione è nata la nostra bella bandiera e il nostro bellissimo inno. Loro e molti altri hanno lavorato duramente perché oggi noi potessimo arrivare all’obiettivo di avere il nostro istituto di cultura. Alcuni sostenevano che i rom non hanno bisogno di un’istituzione come questa, altri che i rom non hanno una cultura propria.

C’è ancor oggi chi va in tv a dire che i rom non esistono, non hanno una cultura, altri nei convegni affermano che bisogna evitare la “pericolosa deriva etnica”, che bisogna “de-etnicizzare” il dibattito su rom e sinti perché non sono un popolo unico ma solo una questione sociale, di povertà. Per fortuna, nel rispetto della storia e dei fatti, ci sono stati anche molti che ci hanno appoggiato con grande entusiasmo. Nonostante tutte le difficoltà, ci ha fatto perseverare l’idea che la nostra storia e la nostra identità devono essere raccontate da noi stessi, che la forza della definizione della nostra identità è nelle nostre mani. Eriac sarà nostro, di quelli che ne hanno più bisogno, artisti, intellettuali, attivisti, quelli che sfidano ogni giorno le persecuzioni e le discriminazioni della cultura maggioritaria e le conseguenze che queste hanno su di noi e sul nostro modo di vedere noi stessi.

Cosa lega queste due notizie? Apparentemente nulla, invece sono le facce della stessa medaglia: sono la nostra vita divisa in due, la quotidianità della nostra discriminazione e la nostra speranza e il nostro strumento, la cultura, per abbattere il muro che ci divide. Ma il razzismo non è un privilegio riservato solo a noi, appunto perché brutti sporchi e cattivi. Il razzismo, l’intolleranza per quello che è diverso, si allarga agli immigrati, troppi e troppo neri, agli islamici che inquinano la nostra cultura per arrivare fino a quello che dorme sulla panchina dei giardinetti. Il muro che ci divide ci mette tra gli “altri”, i “diversi” gli “estranei”, e tra questi quelli più “altri”, più “diversi”, più estranei” di tutti e perciò marginali anche quando subiscono violenza.

Allora, come rivendichiamo rispetto, soprattutto di fronte agli atti di razzismo, noi rivendichiamo con orgoglio di appartenere alle vittime di questo razzismo alimentato dalle campagne di odio e di paura di politici irresponsabili, perché sappiamo che solo se queste vittime saranno riconosciute per quello che sono, persone con storie, identità, culture, tradizioni, valori vivremo in un Paese nel quale si conviva civilmente.

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