L’aumento dei comuni sciolti per inflitrazioni mafiose, le inchieste sui politici, il trasformismo, il clientelismo e il voto di scambio. Sono gli elementi che hanno un peso specifico nel continuo e sempre più evidente decadimento della classe politica. Il modo per provare a neutralizzarli? Modificare sia la legge Severino che le leggi che regolamentano le candidature. Non basta un certificato penale pulito per considerare pulita una lista. Alla vigilia delle elezioni politiche l’ Antimafia si occupa ancora una volta del problema dei cosiddetti impresentabili inseriti in lista dai vari partiti. E lo fa presentando la relazione finale che analizza cinque anni di lavoro della commissione presieduta da Rosy Bindi. Un documento che fa il punto su un lustro di lavoro di Palazzo San Macuto.  E che lascia a chi sarà eletto nella prossima commissione alcuni consigli su come continuare un lavoro d’inchiesta che nell’ultima legislatura ha puntato i riflettori non solo sullo sviluppo delle associazioni criminali ma anche sulla loro capacità d’infiltrarsi nelle istituzioni.

“Decadimento della politica. Integrare legge Severino” – Ed è proprio alla classe politica che si rivolge il capitolo della relazione dedicata agli scioglimento delle amministrazioni locali. “Il numero crescente di comuni sciolti per mafia e di procedimenti a carico di amministratori ed esponenti della politica locale, il trasformismo politico e il clientelismo su cui fa leva il voto di scambio, impongono una seria riflessione sulla moralità del sistema e sulla tenuta del principio di rappresentanza. Un decadimento allarmante che rende necessario integrare e correggere la legge Severino“, si legge nella relazione che avanza proposte tese a rafforzare il sistema dei controlli e la trasparenza . Dal 1991 ad oggi si registrano ben 291 scioglimenti per mafia di enti locali, pari a 229 comuni. Numerosi i casi di comuni sciolti due volte (42 casi) o addirittura tre volte (13 casi). Si tratta per lo più di comuni di piccole e medie dimensioni. 

“Liste pulite, non bastano i certificati penali privi di condanne” – “Il mandato per la prossima commissione – scrive dunque palazzo San Macuto – non potrà trascurare il compito, su cui molto si è lavorato, del rapporto tra mafia e politica, soprattutto sul versante della trasparenza e della selezione delle candidature, in particolare a livello locale. Rientrano in quest’ambito, le proposte di modifica del Testo Unico degli enti locali, nella parte relativa allo scioglimento dei comuni per infiltrazione e condizionamento mafioso, alla gestione dell’ente da parte della commissione straordinaria e alle previsioni in tema di incandidabilità e ineleggibilità, ampiamente illustrate nella relazione. Tuttavia – sottolinea la commissione – il tema delle misure sulla presentazione e la qualità delle candidature, non si esaurisce certamente con l’esibizione di certificati penali privi di evidenze giudiziarie”. 

“Senza verità sulle stragi Costituzione rimane inattuata” –  E se San Macuto si affida alla prossima legislatura per modificare la legge Severino e le regole sulle candidature, ai futuri componenti della commissione Antimafia si chiede uno sforzo ancora maggiore: cercare la verità sulle stragi mafiose.”Il 2018 si è aperto con il 70° anniversario dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, il primo e più completo codice antimafia del Paese, che non potrà dirsi pienamente attuata, nei suoi valori fondanti di democrazia e libertà, se non sarà fatta piena luce sulle stragi e sui delitti a carattere politico-mafioso del 1992-1993″, scrive Bindi nella relazione finale, ricordando che “l’inchiesta della commissione, nonostante la contemporanea celebrazione dei processi Borsellino quater e per la cosiddetta trattativa Stato-mafia e si è proposta comunque di comprendere, alla luce dei più recenti accadimenti, quale fosse, dopo oltre un ventennio dalle stragi, lo stato complessivo delle ricognizioni e cosa sia ancora possibile compiere per giungere alla verità”. Risultato? “Ciò che deve essere ancora chiarito non è soltanto l’interesse, vendicativo, rivendicativo o di qualsiasi altra natura che cosa nostra perseguiva, ma il ruolo e le finalità di quella mano esterna, già evidenziata dalla Commissione Pisanu e che la sentenza del Borsellino-quater, fa emergere con una lettura dei fatti in termini di depistaggio e di un interesse terzo”. Al nuovo Parlamento, quindi, la Commissione chiede quindi di continuare a cercare la verità sulle stragi. “Dopo venticinque anni – prosegue il documento – la sede naturale in cui cercare la verità storica complessiva sulle stragi è quella politica. Si tratta di un percorso complesso in cui sarebbe auspicabile anche che i protagonisti, diretti o indiretti, o soltanto testimoni del perseguimento di quegli interessi terzi, finalmente contribuissero a far luce sulle pagine buie della storia italiana. È un impegno morale che la politica non può più eludere e che la commissione rimette al nuovo Parlamento. Ciò che è accaduto allora resta una tragica ferita nella coscienza e nella dignità del paese. È un debito di verità che è tempo di consegnare riscattato agli italiani di oggi e di domani.  Rimane il dubbio che una lunga scia di sangue unisca politicamente via Fani a via D’Amelio, passando per la Sicilia e lungo la penisola”. 

 

“41 bis perno insostituibile ma in certi casi boss comunicano”- Passaggio fondamentale della relazione è poi quelllo dedicato al regime di carcere duro pervisto per detenuti mafiosi, definito “un insostituibile perno della legislazione antimafia“. Tuttavia, però, di circa 640 detenuti in regime di 41 bis sono ospitati in strutture penitenziarie che, alcune più altre meno, non rispondono ai requisiti di legge.  “Nonostante la legge preveda strutture o sezioni penitenziarie dedicate ai detenuti in regime speciale, la norma del 2009 è rimasta inattuata, e in molti istituti è di fatto possibile la comunicazione tra soggetti di eterogenei gruppi di socialità”, si legge nel documento che – dopo aver ricordato il lavoro svolto dalla commissione sul cosiddetto Protocollo Farfalla – si sofferma come la nuova convenzione stipulata nel giugno 2010 tra l’Aise e dipartimento amministrazione penitenziaria per regolamentare lo scambio di notizie e di dati inerenti l’ambito carcerario. Un accordo che – secondo l’antimafia – genera “alcune serie preoccupazioni“. “Si sono infatti riscontrati spazi interpretativi che, anche solo ipoteticamente, potrebbero consentire una prassi applicativa non del tutto aderente alle intenzioni del legislatore ed essere causa di possibili menomazioni delle funzioni giudiziarie”. La commissione auspica che la convenzione venga, comunque, tempestivamente riscritta “per non lasciare spazio a nessuna ombra”.

“Morte Riina ha rafforzato la mafia. A breve riorganizzazione” –  La relazione, però, si occupa anche dell’attuale evoluzione delle mafie. A cominciare da quella siciliana, segnata negli ultimi tempi dalla morte di Totò Riina e Bernardo Provenzano. “Cosa nostra è vitale in ciascuna provincia siciliana. In questi anni l’organizzazione ha mantenuto il controllo del territorio e gode ancora di ampio consenso, ed esercita tuttora largamente la sua capacità di intimidazione alla quale ancora corrisponde, di converso, il silenzio delle vittime. La morte di Totò Riina costituisce paradossalmente un ulteriore elemento attuale di forza“, scrive la Bindi. Per i commissari, dunque, siamo alla vigilia di un possibile cambio di marcia della piovra. “Cosa nostra – scrivono –  è infatti libera di ridarsi un organismo decisionale centrale, e quindi una strategia comune, finora ostacolata dall’esistenza di un capo che, in carcere a vita al 41-bis, né poteva comandare né poteva essere sostituito. Andrà perciò attentamente monitorata la fase di transizione che si è formalmente aperta e che probabilmente subirà un’accelerazione a breve”. Considerato che Cosa nostra, “nonostante l’azione incessante delle forze dell’ordine e della magistratura, mostra una straordinaria capacità di rigenerazione

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