Andrea Bellelli sul suo blog sul Fatto Quotidiano.it ha pubblicato un interessante post intitolato “Tutti vogliono la meritocrazia, ma siete sicuri di saperla riconoscere?”. Parlare di Meritocrazia in Italia (o della sua assenza) è sempre un bene.

Il Meritometro, una classifica sullo stato della meritocrazia nei paesi avanzati elaborato dal Forum della Meritocrazia, mostra infatti che il nostro Paese, pur con tutte le sue indubitabili eccellenze e bellezze, di certo su questo fronte non brilla proprio. Bellelli solleva due temi centrali per un sistema che voglia essere o diventare meritocratico (come il Forum della meritocrazia vorrebbe per l’Italia): se il merito sia effettivamente “misurabile” e se tale misura, una volta effettuata, venga accettata dal soggetto misurato (la cd. “illusory superiority”).

Il merito è certamente una misura complessa che non può essere ridotta a indicatori unici e semplicistici. Sicuramente – come per tutte le cose complesse –  ci sono e ci saranno errori.

Questo però non significa che il merito non possa essere percepito e misurato. A tutti noi è probabilmente capitato già dalle nostre prime esperienze “comparative” alla scuola elementare di avere un compagno o una compagna di classe che su una qualche materia o attività sportiva erano oggettivamente, essendo onesti con noi stessi, più bravi di noi.

D’altra parte, i voti dati nella nostra Scuola, per tutte le critiche che le vengono fatte, e nonostante gli errori che certamente in alcuni casi vengono commessi, riescono senza ombra di dubbio a stilare una classifica di merito largamente significativa nella quale i più bravi tendenzialmente riescono ad ottenere voti migliori.

Rinunciare a mirare ad un sistema nel quale oneri e onori – tra cui le posizioni di responsabilità e di potere – sono assegnati sulla base di criteri di merito solo perché il merito è complesso da misurare sarebbe assolutamente perdente. Siamo certi che questo non sia l’intento di Andrea Bellelli, sicuramente non lo è del Forum della Meritocrazia.

Per quanto riguarda invece il tema della “illusory superiority” è evidente che accettare di essere “secondi” è sempre difficile (sicuramente lo è per lo scrivente, cui è capitato molte volte!) …  ma purtroppo a volte capita oggettivamente di esserlo. Nessun sistema può essere stabilmente meritocratico se i “secondi” vivono e macerano in una sorta di frustrazione e rivolta permanente.

Come fronteggiare questo problema?

Si tratta di recuperare e diffondere nella nostra società quello che una volta si chiamava lo spirito olimpico.

Citius! Altius! Fortius!

L’idea che la competizione non è una gara contro gli altri, ma per noi stessi. Una gara per andare più veloce, più in alto. Per essere più forti. Una gara in cui l’altro non è il nostro nemico, ma piuttosto l’amico che ci sprona e che, come nelle maratone più belle, ci abbraccia e ci sostiene quanto entrambi stremati superiamo il traguardo.

Uno spirito ed un valore che non ha nulla di “anglosassone” ma anzi, almeno nella sua evocazione, va proprio alle radici della nostra bellissima cultura mediterranea.

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