Non è un caso se a redigere il Galateo fu un ecclesiastico. Dalla penna di monsignor Giovanni Della Casa, che fu arcivescovo di Benevento nel Cinquecento, sono sgorgate le pagine del più celebre e citato, ma forse molto poco conosciuto e soprattutto applicato, manuale di buone maniere. Del resto, nel corso dei secoli il cosiddetto stile curiale, soprattutto in tema di promoveatur ut amoveatur, ha fatto scuola. Uno stile rinnegato da Papa Francesco che, senza mezze misure, ha affermato che “è indispensabile l’archiviazione definitiva della pratica del promoveatur ut amoveatur. Questo è un cancro”.

Sarà forse anche per questo che Bergoglio, tornando parzialmente sui suoi passi, ha deciso di rimettere mano alle norme che regolano le dimissioni delle più alte gerarchie ecclesiastiche, fissate da Paolo VI a 75 anni. Dopo un po’ di proroghe fatte a campione in questi primi cinque anni di pontificato, l’81enne Papa latinoamericano ha voluto mettere ordine da un punto di vista giuridico sottolineando che spetta soltanto al Pontefice regnante accettare o meno le dimissioni di cardinali e vescovi.

C’è un passaggio chiave nella nuova normativa emanata da Francesco. “Ogni eventuale proroga – scrive Bergoglio – si può comprendere solo per taluni motivi sempre legati al bene comune ecclesiale. Questa decisione pontificia non è un atto automatico ma un atto di governo; di conseguenza implica la virtù della prudenza che aiuterà, attraverso un adeguato discernimento, a prendere la decisione appropriata”.

Il Papa precisa, inoltre, che “se eccezionalmente viene chiesto di continuare il servizio per un periodo più lungo, ciò implica abbandonare, con generosità, il proprio nuovo progetto personale. Questa situazione, però, non dev’essere considerata un privilegio, o un trionfo personale, o un favore dovuto a presunti obblighi derivati dall’amicizia o dalla vicinanza, né come gratitudine per l’efficacia dei servizi forniti”.

Ma chi sono i beneficiari di questa nuova norma? In realtà il motu proprio “Imparare a congedarsi”, che già dal titolo indica quali siano le intenzioni di Francesco, non ha una ricaduta diretta e immediata su un gruppo, più o meno significativo, di cardinali e vescovi in età da pensione. Nella Curia romana, per esempio, due porporati capi dicastero stanno per compiere 80 anni, Francesco Coccopalmerio e Angelo Amato, ma nulla ha impedito al Papa di mantenerli nel loro incarico ben cinque anni oltre l’età canonica delle dimissioni.

Se guardiano al panorama italiano, per fare un altro esempio, soltanto il cardinale Angelo Scola è stato pensionato da Bergoglio pochi mesi dopo aver compiuto i 75 anni. C’è da dire che il Papa non aveva nessuna intenzione di congedare così presto il suo unico rivale nel conclave del 2013, ma è stato lo stesso Scola a chiedere a Francesco di poter lasciare il suo incarico. Così come è avvenuto, per fare un esempio europeo, a Parigi con il cardinale André Vingt-Trois malato da tempo.

Tornando nella Penisola, ci sono i casi di Genova e Napoli dove entrambi gli arcivescovi, Angelo Bagnasco e Crescenzio Sepe, hanno incassato da Bergoglio una proroga biennale. Ma con una differenza non da poco. Bagnasco ha presentato le proprie dimissioni un mese prima del compimento dei 75 anni e ha atteso la lettera del nunzio apostolico in Italia che gli ha comunicato la decisione del Papa di lasciarlo alla guida dell’arcidiocesi di Genova per altri due anni.

Sepe è, invece, andato in udienza privata da Francesco quattro mesi prima della fine naturale del suo mandato chiedendo una proroga. Uscito dall’incontro a quattr’occhi, l’arcivescovo di Napoli ha diffuso un comunicato stampa affermando che il Papa gli aveva chiesto di restare per almeno altri due anni. Una “auto proroga” insomma, contravvenendo a quelle regole di Galateo sempre più in disuso anche nella Chiesa.

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