Evoluzione della specie: 40 anni fa nelle stalle c’erano le mucche da mungere, adesso ballano le stelle (italiane) dell’Opera de Paris. Con sapiente regia Caroline Freymond, arredatrice, collezionista, stilosa ed elegante, mescola fiocchi di neve con fiocchi di cultura. Metti nelle sue mani uno delle più vecchie dimore del Saaneland (datato millesettecento e qualcosa) et voilà, Chalet Farb che si trasforma ora in una temporay gallery (con “Les Paysages Imaginaires” del fotografo cult Didier Massard) ora in salotto letterario, ora in un palcoscenico, ora in un cenacolo per chef stellati. È riuscita a Caroline una perfetta triangolazione dall’Operà di Parigi a Gstaad passando per l’Italia. Già, visto che i ballerini erano tutti italiani: Alessio Carbone, Simone Velastro, Letizia Galloni, Sofia Rosolini, Ambre Chiarcosso, Antonio Conforti, Francesco Vantaggio, Francesco Mura: nelle loro città natali (Venezia, Palermo, Milano…) hanno mosso i primi pas à deux, poi, l’Italia se li è lasciati scappare.

Nello stesso solco della fuga di cervelli, fuga di gambe. Neanche la Scala è riuscita a trattenerli, eppure Velastro faceva parte del corpo di ballo del teatro scaligero. Non si vive di solo “Bolle”.  Poi un anno fa Carbone, primo ballerino dell’Opera ha avuto una folgorazione, e ha creato uno smart format d’esportazione Les italiens de l’Opera de Paris e gli si sono aperte le porte di tournée internazionali dal Festival di Ravello a San Paolo. “Siamo la mafia della danza”, la buttà lì Carbone, il veterano, 40 anni. Per lui come per Velastro l’età della pensione è vicina e allora si sono dati alla coreografia. Asse di legno per ricoprire la piscina indoor di Caroline poi ricoperte da un tappetto di lineolum, anti/scivolo. “La scommessa è stata dura, un palcoscenico ridotto, il pubblico a un palmo di naso, ogni difetto diventa percettibile”. Scommessa vinta. È stata un’ovazione quando Alessio Carbone ha fatto l’Arepo su coreografia di Maurice Béjart. Sembrava un uccello di fuoco che volteggiava fra le fiamme.

Un canapé di langoustine, prego. O un risotto tartufato? O bocconcini di coquilage Saint Jacques? Il buffet era raffinato come la padrona di casa… E poi, poi, il dance floor si è scatenato sulle note del compositore/pianista Andrea Turra. E così Alessio mi ha invitato a ballare. E io che ho la grazia di Dumbo (giuro, disse così la maestra di ballo a mia madre che sognava per me un futuro da pétite étoile) mi sono sentita più leggiadra dell’Abbagnato. L’ultima prelibatezza di casa Freymond si chiama Raphael Einthoven, il filosofo ex compagno di Carla Bruni. E il parterre femminile s’illuminò d’immenso davanti a tanta bellezza e sapienza. Condita con macaron pralinè.

Cambio location, al volante della eco/friendly Electric Tesla (stiamo ancora a inquinare con obsoleti motori a benzina!), faccio il pieno d’energia e via a Sankt Moritz. Destinazione la stalla di Madulain, verace paesino dell’Engadina. Per  una genialata del gallerista Gian Tumasch Appenzeller (sì, si chiama come il gustoso formaggio) è rimasta ruspante come se ci fossero ancora le vacche. Esperimento azzeccato di fusione di creatività e tradizione. Adesso c’è l’installazione “ambientalista” di Not Vital. Sembra un brand, invece è il nome dell’artista, doppia nazionalità, svizzero/americano, esploratore, filantropo, che di se stesso dice sono un “maker di dreamscaper for adults”, un fabbricante di sogni per adulti. Una sorta di Piccolo Principe dell’arte che ci lascia con occhi carichi di meraviglia. Auchung, di fianco alla stalla c’è una scalinata bella e lucente come un specchio. Ma più scivolosa di una pista di pattinaggio. Per ricordarci con Saint Exupery che “L’essenziale è invisibile agli occhi”.

Instagram: januaria _piromallo

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