A quattro anni dalla chiusura degli impianti è stato firmato al ministero dello Sviluppo economico l’accordo per la cessione dello stabilimento ex Alcoa di Portovesme da Invitalia al gruppo svizzero Sider Alloys. “Oggi non è una conclusione ma l’inizio di un processo e come ho detto chiaramente ai lavoratori, si festeggerà quando uscirà il primo lingotto di alluminio fino ad allora c’è solo da lavorare”, ha detto il ministro Carlo Calenda.

La cessione dello stabilimento di Portovesme è avvenuta in seguito a una doppia firma: la prima per il passaggio dagli americani e Invitalia e la seconda dall’Agenzia per l’attrazione degli investimenti a Sider Alloys. “Per noi la vicenda Alcoa è simbolica, oltre che concreta, perché la sua crisi nasce dall’idea che determinate produzioni in Occidente – e in particolare in Italia – non si potessero più fare”, ha spiegato Calenda sottolineando che si tratta di un concetto “che non condividiamo”, visto che l’Italia “è importatrice di alluminio e per noi è importante aver dato una prospettiva ad azienda e operai”.

La vertenza sindacale era stata aperta nel 2009, perché Alcoa avrebbe voluto abbattere gli occupati a causa dei costi operativi (prezzo dell’energia, costo delle materie prime e obsolescenza degli impianti). Tre anni più tardi il colosso statunitense aveva annunciato la chiusura all’interno di un piano di ristrutturazione globale dell’azienda.

Nel 2012 la fermata della produzione nello stabilimento sardo, dove si producevano 150mila tonnellate di alluminio e lavoravano 800 persone tra dipendenti diretti e indotto. Dopo diverse trattative fallite, tra le quali quella con Glencore, il Mise ha proposto di mettere in campo Invitalia, l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, perché facesse da filtro tra la multinazionale dell’alluminio e potenziali acquirenti dell’impianto.

La multinazionale Sider Alloys incontrò il governo per la prima volta nel 2016, manifestando il proprio interesse ad acquisire lo stabilimento. Adesso la firma porterà al revamping degli impianti grazie a un piano di investimenti da circa 135 milioni di euro, integrato da un contributo a fondo perduto di 8 milioni di euro e un finanziamento da 84 milioni di euro che Sider Alloys rimborserà in 8 anni a un tasso agevolato. In più, il gruppo svizzero ha garantito la costruzione di un nuovo impianto per le vergelle che costerà circa 10 milioni di euro e trovato un accordo con Enel per la fornitura dell’energia elettrica.

Il piano industriale verrà ora discusso con i sindacati, che hanno già chiesto un incontro ufficiale perché “al momento siamo al buio”, dice la leader della Fiom-Cgil Francesca Re David. Sider Alloys prevede di comprare l’allumina da Rusal, uno dei maggiori produttori mondiali, per tornare a produrre circa 150mila tonnellate di alluminio primario grazie al lavoro di 376 lavoratori diretti e altri 70 a contratto. Con l’obiettivo di inserirne altri 50 nel caso in cui venisse riavviata la fabbrica degli snodi.

Calenda non ha escluso la possibilità di corroborare l’impegno degli svizzeri con la stessa Invitalia e con una quota della società riservata agli stessi operai. L’obiettivo del governo “è quello di rimettere il Sulcis in condizione di fare il ciclo completo dell’alluminio” e in questo senso, “Invitalia sta avendo un ruolo sempre più importante, perciò ho chiesto loro di verificare una possibile partecipazione nell’azionariato della nuova società che gestirà l’impianto ex Alcoa per rafforzare e dare spalle al nuovo investitore”, ha spiegato il Calenda aggiungendo che ha chiesto anche “di pensare se è plausibile – d’accordo con l’investitore – avere una quota della società riservata ai lavoratori che hanno combattuto per tenere l’impianto aperto”.

La cessione è stata “resa possibile dalla tenacia dei lavoratori che oggi, come dal primo giorno della vertenza, presidiano lo stabilimento, deve dare la possibilità di rioccupazione a tutti i lavoratori, con tempi e modalità che saranno stabiliti dal confronto, che da settimane come Fiom stiamo sollecitando”, spiega la Fiom. “Rimane da affrontare il tema degli ammortizzatori sociali per l’area di crisi complessa, oramai in scadenza per oltre 500 lavoratori il prossimo giugno – notano i metalmeccanici della Cgil – e che ha bisogno di una continuità per accompagnare il processo di riavvio della produzione di alluminio nel Sulcis”.

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