Quarant’anni non è solo un crocevia fisiologico in cui si comincia a fare tagliandi, è quel bivio dove ci si ritrova a tirare le somme (non per forza a pagare il conto) sul proprio momento esistenziale. Nei paesi come l’Italia ,dove si fanno figli tardi, di solito a quarant’anni si è nel mezzo di bambini piccoli ed esigenti, nel punto cruciale in cui come coppia si comincia a barcollare. Vuoi per la stanchezza che i figli causano, vuoi per la vita diventata d’un tratto monotona e priva di stimoli, vuoi perché rispetto al proprio compagno ci si è evoluti in maniera differente e si desiderano cose diverse.

La tensione tra la coppia, che scaturisce non solo dal logorio delle passioni e dalla mancanza di tempo, ma anche da un progredire individuale all’interno della famiglia e della società, crea distanze che diventano voragini incolmabili. Quando parlo con amiche e conoscenti, i motivi per lamentarsi del proprio compagno non mancano mai, ma non sempre si reggono su basi fondate.

Certo, c’è una categoria di mariti e padri di cui sarebbe impossibile non lagnarsi. Sono quelli che se il bambino fa la cacca mentre sono fuori da soli, corrono a casa per farli cambiare dalle madri; sono quelli che piuttosto di cucinare una pasta, portano la famiglia in pizzeria; sono quelli che anziché tornare a casa mezz’ora prima, si fermano al bar per un gin Campari; sono quelli che se di notte il bambino piange non si alzano, perché al mattino vanno a lavorare e la moglie invece no.

Se è vero che esistono uomini che al giorno d’oggi, in un paese industrializzato come l’Italia, restano attaccati a una macchietta francamente anacronistica di “capofamiglia” vecchio stampo, è altrettanto reale la presenza di uomini che concepiscono la vita in casa come un affidamento congiunto, con o senza figli. Uomini che hanno oltrepassato la barricata senza sentirsi meno “maschi” o sviliti nell’onore, che lo fanno non per sottostare a una sorta di “quota azzurra” domestica, ma perché non potrebbe essere altrimenti. Sia questo preparare la cena, portare fuori i bambini, vestirli, cambiarli, pulire la casa, andare alle riunioni di scuola, spingerli sull’altalena, attività che – eseguite in solitaria – hanno oppresso e fracassato gli zebedei alle donne di tutto il mondo, nei secoli dei secoli.

Eppure – e qui giace l’assurdità del nostro tempo – per qualche oscuro motivo, l’operato di questi padri e mariti non è esente da critiche, e non è mai abbastanza.

R. si alza presto per vestire e portare la bambina all’asilo (mentre la moglie resta a letto ancora un po’), ma viene bacchettato sull’uscio di casa per la scelta degli indumenti non conforme al fashion style della madre. P. sta preparando il cibo per il bambino e la moglie, vigilantes dai mille occhi, gli ricorda (cosa che per altro stava già facendo) di girare il cucchiaio in modo che la pappa non si attacchi sul fondo. G. gioca con i bambini ma lo fa troppo animatamente, li fa sudare senza mettergli la felpa, li espone a rischi che manco Tom Sawyer.

Paradossalmente, prendersene cura non è sufficiente se non risponde agli standard stabiliti dalla madre. Ci si lamenta perché i mariti non aiutano e ci si lamenta quando lo fanno, perché in maniera distinta da come lo faremmo noi. Ho visto donne bacchettare i compagni per delle scemenze e trattarli alla stregua dei loro figli. Possibile che alcune donne vedano sempre il bicchiere mezzo vuoto?

Da una parte avere una spalla su cui contare fornisce sì un sollievo pratico, ma destabilizza il mondo della donna che si vede esautorata di un ruolo ancestrale per il quale ha sempre avuto l’esclusiva. In fondo però è quello che sta accadendo agli uomini, quando si trovano a dover competere con una nuova classe emergente di donne lavoratrici, che possono defraudarli delle loro posizioni. E’ il risultato dei tempi che (in sordina) cambiano, e capire se la storia finirà con un lieto fine o meno, dipenderà molto dalla flessibilità delle parti in gioco. Nel frattempo, l’attrito nella mischia rende i contorni confusi e crea frustrazione, recriminazioni e una buona dose di infelicità.

La mezza età è mediare tra l’orgoglio delle proprie convinzioni e l’umiltà di accettarne di nuove, forse anche migliori. E’ trovarsi al campo base e decidere se salire al due o tornare a valle, è costruirsi le fondamenta di una prossima maturità.

Rispetto a tutto questo, rughe e capelli grigi sembrano un effetto collaterale da niente.

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