Piccola avvertenza che, per ragioni poco chiare, pare essere sempre necessaria per questi pezzi: non ho mai votato Cinque Stelle e non ho intenzione di votarli il 4 marzo. Ma nonostante questo – e andiamo al punto – trovo che sia piuttosto assurda l’indignazione e lo scandalo che riguarda le ultime vicende del Movimento, cioè il fatto che alcuni parlamentari ricandidati non hanno versato quanto promesso del loro stipendio a un fondo di sostegno per le piccole imprese.

Il merito della vicenda mi interessa poco. Si sarebbe potuto risolvere nel modo in cui gli altri partiti hanno trattato gli eletti morosi, che non hanno girato al partito quanto promesso del proprio stipendio (tipo Piero Grasso al Pd): basta mandare una letterina e sollecitare la regolarizzazione pena sanzioni future. Ma la campagna contro i Cinque Stelle su questo rivela – ancora una volta – il cortocircuito che causano negli altri partiti. E spiega perché il consenso a Luigi Di Maio sia così elevato nonostante un programma economico palesamente inapplicabile e un messaggio politico complessivo in continua evoluzione (e contraddizione).

Su rimborsi, parlamentarie, candidature discutibili e tutto il resto dal punto di vista degli altri partiti, e degli opinionisti, i Cinque Stelle sono criticabili per due ragioni: perché fanno cose non condivisibili o perché sono incoerenti. E’ una trappola a cui è difficile scappare.

Prendiamo il caso dell’autoriduzione del compenso. Se Renzi contesta i Cinque Stelle perché non fanno quello che dicono (cioè restituiscono meno del dovuto) deve appoggiare la sua critica su due possibili argomenti: 1) l’idea è giusta e quindi è criticabile non applicarla fino in fondo 2) a prescindere che sia giusta o sbagliata, in politica la coerenza è tutto e molti M5S si stanno rivelando incoerenti.

La posizione 1) non è sostenibile: i deputati e senatori del Pd non si riducono lo stipendio allo stesso modo dei pentastellati, quindi se Renzi afferma che il peccato dei Cinque Stelle è non tagliare abbastanza, contestualmente deve riconoscere che il Pd fa peggio, perché non restituisce proprio nulla.

La posizione 2) è pericolosa: se la coerenza è tutto, sono così tanti i casi in cui Renzi e il Pd nel suo complesso si sono dimostrati incoerenti che dovrebbero ritirare le liste dalle elezioni (manifestano per l’articolo 18 poi lo aboliscono, liberalizzano i voucher e poi li cancellano, mettono il canone in bolletta e poi dicono di volerlo azzerare ecc.).

Ci sarebbe una posizione 3 che però né Renzi né i suoi competitor osano sostenere, anche se sarebbe più che legittima: i parlamentari devono essere ben pagati perché altrimenti chi ha una carriera o anche soltanto una famiglia da mantenere starà lontano dalla politica che rimarrà terreno di caccia di mediocri e delinquenti. Ma Renzi, come il Pd, hanno cavalcato la retorica della Casta per anni e ora non osano tornare indietro.

Lo stesso paradosso vale per le liste: d’accordo, i Cinque Stelle hanno fatto primarie on line con poche migliaia di persone, forse facilmente hackerabili, usano il ricorso alla democrazia diretta più per legittimare scelte del vertice (Di Maio candidato premier e capo politico) che per decidere davvero e così via.

Ma gli altri? Se le parlamentarie Cinque Stelle non sono “abbastanza democratiche”, cosa si deve pensare del metodo con cui il Pd ha fatto le liste in una notte di faide tra correnti? E almeno il Pd è un partito che fa congressi, che ha una struttura interna, di delega. Ma Forza Italia? Mai un congresso, dopo 25 anni resta un possedimento personale di Silvio Berlusconi gestito dalla sua corte del momento. Di nuovo: criticare i Cinque Stelle su questi aspetti serve soltanto a ricordare all’opinione pubblica che sono comunque meglio degli altri partiti. E a consolidare il loro consenso.

La questione morale la sollevava il Pci di Enrico Berlinguer per ribadire la propria superiorità etica sul sistema di potere democristiano. Qui ci sono partiti pieni di inquisiti e vecchi arnesi che sollevano questioni immorali che hanno solo il masochistico risultato di ricordare all’opinione pubblica chi sono i peggiori.

I Cinque Stelle hanno mille debolezze e confusioni, non hanno un apparato, non hanno un vero rapporto col territorio, in cinque anni di Parlamento hanno fatto pochissimi passi avanti in termini di competenze e proposte. Su alcuni punti ci sono state addirittura clamorose involuzioni, tipo il reddito di cittadinanza che prima doveva essere pagato con tagli di spesa e ora invece in deficit con un trucco di bilancio, secondo una lunga tradizione italiana in base alla quale le elezioni si vincono promettendo debito pubblico.

Se la battaglia fosse sui programmi, insomma, i Cinque Stelle non ne uscirebbero bene: il centrodestra ha un’idea sola ma radicale, la Flat Tax, il Pd ha un programma pragmatico pieno di piccole misure anche sensate ma nessuna proposta caratterizzante, l’M5S ha troppe proposte insieme tra loro incompatibili e incoerenti. Ma invece che discutere del futuro del Paese, una legislatura che era inziata attaccando i Cinque Stelle sugli scontrini dei rimborsi si chiude discettando delle loro restituzioni al fondo per le piccole imprese.

Le questioni immorali danneggiano chi le pone.

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