“L’Italia? Mi manca. E la spiaggia di Riccione dove sono cresciuto. E le persone con cui puoi far tranquillamente conversazione senza averle mai viste prima. Ma l’Italia che mi manca non esiste più”. Alberto Giannetto è nato a Padova ma è Riccione il posto dove è cresciuto e ha imparato ad amare l’Italia. Negli ultimi diciotto anni l’astronomo ormai 46enne ha monitorato i cambiamenti della sua città mentre la osserva nei brevi soggiorni in cui torna in Italia. Dal 1999, infatti, Alberto si è trasferito nel Regno Unito, in un paese vicino ad Oxford. Forse stando immersi in una realtà, si nota meno come questa stia cambiando. Per Alberto, invece, è chiarissimo come in questi anni la sua Romagna si sia tinta di grigio. E non è solo il paesaggio ad essere cambiato. “Ogni volta che torno, vedo e sento cose che mi lasciano allibito, sia in televisione che per strada. E in Romagna? O hanno costruito un nuovo centro commerciale, o hanno abbattuto decine di pini marittimi sulle strade dove giocavo da bambino per costruire un nuovo sistema di trasporto costiero”. Tanto che anno dopo anno, il ricordo dell’Italia è sempre più distante dal paese reale.

Quando torno in Romagna o hanno costruito un nuovo centro commerciale, o hanno abbattuto decine di pini marittimi

Emigrato in tempi che ancora non lasciavano del tutto intravedere la crisi lavorativa del decennio successivo, dopo una laurea in astronomia all’università di Bologna e avere lavorato per qualche azienda tra Bologna e Rimini, è stata più la curiosità a farlo partire sulla soglia dei trent’anni. Si chiedeva quanto tempo ci avrebbe messo a trovare un alloggio e un lavoro, mentre saliva sull’aereo diretto all’aeroporto di Stansted. La risposta sarebbe arrivata di lì a breve: tre settimane. Una software house in forte espansione a sud di Oxford, ecco il posto dove avrebbe passato i 12 anni successivi. “Il colloquio fu massacrante e dovetti dimostrare loro quello che sapevo, e anche quello che non sapevo”. Poi, dopo un passaggio in una grossa multinazionale americana per cui si occupava di sicurezza informatica, ora Alberto è tornato a lavorare per la stessa ditta con cui aveva iniziato nel 1999. “Non ho più guardato indietro. Burocrazia snella: due settimane per avere un rimborso tasse, regole semplici e fatte per essere rispettate e un conto in banca senza imposte di sorta”.

Ovviamente il Regno Unito non è il paradiso. Basta pensare allo spettacolo che si presenta nei supermercati inglesi al reparto frutta e verdura, uno spettacolo “desolante” che resterà ben impresso nella mente di qualunque emigrato oltre la Manica, o quanto la privatizzazione dei trasporti pubblici abbia fatto esplodere i prezzi in cambio di servizi “a volte abominevoli” perché costosi e affollati. Eppure, forse non ha prezzo vivere in un paese in cui si sente che le istituzioni sono realmente al servizio del cittadino. “Qui è normale contattare il proprio rappresentante in Parlamento, per esempio, e nove volte su dieci costui ti risponde su carta intestata della House of Commons”. Il filtro di un’informazione neutrale come appare agli occhi di Alberto quella del servizio nazionale britannico, la BBC, è un altro privilegio da emigrato.

Perché dare agli italiani che vanno all’estero la responsabilità per le condizioni in cui versa il paese?

Perché diciotto anni all’estero non sono pochi, e possono portare a cambiare se stessi ma anche la propria visione del mondo. “Sicuramente sono cambiato anche io, avendo visto di persona come le cose potrebbero essere fatte funzionare per il comune cittadino, e ogni volta il confronto con l’Italia è stridente”. Come il ragazzo della via Gluck che non trova più il suo verde ma solo case e cemento, così – anno dopo anno – l’astronomo resta sempre più allibito dalla cementificazione della riviera romagnola. “Qui in Inghilterra hanno un concetto che a me piace molto: quello di green belt”, ovvero zone al di fuori dei centri urbani in cui non è possibile costruire. “È per questo motivo che la bellissima campagna inglese è così incontaminata: le amministrazioni locali proibiscono la costruzione in queste zone”.

Il racconto si ferma e arriva un sospiro misto a frustrazione. “Anche la riviera romagnola avrebbe avuto bisogno di una green belt a tutela dell’entroterra che mi pare, nel corso degli anni, abbia cambiato colore da verde a grigio, in maniera abbastanza indiscriminata”. E mentre si osserva la propria terra peggiorare anno dopo anno, una domanda si ripete come un mantra. “Perché dare agli italiani che vanno all’estero la responsabilità per le condizioni in cui versa il paese?”. Solo chi è partito capisce cosa significa soffrire, a distanza, per la propria terra. “Sia che dal Regno Unito si guardi alla terra del mare, sole, pizza e mandolino, sia che dall’Italia si pensi alla propria terra devastata da bombe e carestie”. Ma questo, solo un emigrato può saperlo.

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