Se in Germania i metalmeccanici ottengono la settimana di 28 ore su base volontaria e in diversi Paesi europei sono in corso delle sperimentazioni per ridurre l’orario di lavoro, in Italia il dibattito è fermo. Nonostante si tratti di un argomento destinato a diventare cruciale nei prossimi anni, dato che anche nel nostro Paese lo smart-working è ormai una realtà e le nuove generazioni sono poco disposte a rinunciare al work-life balance, l’equilibrio tra il lavoro e la propria vita privata. D’altro canto, quando la scorsa primavera, sulla piattaforma Rousseau si sono concluse le votazioni del programma Lavoro del Movimento 5 Stelle tra i 5 quesiti è stato proprio quello sulla ‘Riduzione dell’orario di lavoro’ a incassare più preferenze (68.700 su 210.788).

A favore della riduzione si è espresso anche Domenico De Masi, professore emerito di Sociologia del lavoro alla Sapienza di Roma, al quale l’M5S ha commissionato la ricerca ‘Lavoro 2025’ e che a FQ Millennium ha esposto il suo pensiero partendo da un dato: in Italia lavoriamo 40 miliardi di ore all’anno divise per 1.800 pro-capite con un totale di circa 23 milioni di posti di lavoro, mentre sul mercato ci sono sei milioni di disoccupati. “Se io dividessi lo stesso monte ore per l’orario francese (1.482 ore all’anno procapite) – ha ipotizzato De Masi – avrei oltre 4 milioni di posti di lavoro in più. Se poi lavorassimo come i tedeschi (1.371 ore pro-capite) ne avremmo quasi 6,6 milioni in più”. Eppure in Italia poco si è fatto, anche rispetto ad altri Paesi europei.

IL COMMENTO DI SUSANNA CAMUSSO – Secondo il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso l’accordo ponte raggiunto in Germania dal sindacato Ig Metall rappresenta “una interessante sperimentazione”. “Siamo di fronte a una novità importante – ha commentato – e cioè che la flessibilità dell’orario viene vissuta in ragione delle esigenze dei lavoratori e non unicamente in ragione delle esigenze della produzione e senza una riduzione del salario”. La verità è che in Italia si guarda ancora agli esperimenti di altri Paesi, quando già nel 1933, in un carteggio fra Gianni Agnelli e Luigi Einaudi, ricordato sempre da FQ Millennium, il fondatore della Fiat sosteneva la formula del “lavorare meno, lavorare tutti”, convinto che la riduzione dell’orario di lavoro potesse essere un rimedio all’aumento della disoccupazione dovuta a macchine sempre più produttive. “La riduzione proporzionale e generale delle ore di lavoro – scrisse – risolve il problema di distribuire il lavoro equamente fra tutti gli uomini, dando a tutti due ore addizionali di ozio”. Altri tempi, stessi temi di oggi. Ma cosa accade nel resto d’Europa? In Italia si lavora più o meno che negli altri Paesi?

LA RIDUZIONE DELL’ORARIO DI LAVORO – Intanto c’è da registrare una graduale riduzione dell’orario di lavoro, che non si è ancora fermata. Partendo proprio dalla Germania, se nel 1995 le ore medie all’anno erano 1.528, nel 2015 si sono ridotte a 1.371 ore. In Spagna si è passati da 1.755 a 1.691 e in Francia da 1.605 a 1.482. Anche in Italia il trend è stato lo stesso: dalle 1.856 ore medie per lavoratore all’anno del 1995, dopo dieci anni si è arrivati a 1.725. Che sono però 354 in più rispetto alla Germania e 243 più di un lavoratore francese.

GLI ORARI DI LAVORO IN EUROPA – In Italia l’orario di lavoro è disciplinato dal decreto legislativo 66 del 2003, che ha dato attuazione alle direttive comunitarie, anche se un ruolo fondamentale è riservato alla contrattazione collettiva. L’orario settimanale di lavoro è distribuito su cinque o sei giornate e non può superare le 48 ore settimanali, ma nel nostro Paese l’orario è generalmente di 40 ore, anche se molti contratti prevedono le 36 ore. Anche in Spagna l’orario medio è di 8 ore al giorno per cinque giorni, con un limite massimo di 48 ore. In Gran Bretagna il tetto massimo è di 48 ore, ma la media viene calcolata su 17 settimane. Quindi si può lavorare anche più ore in una settimana, l’importante è che la media finale non superi le 48 ore.

In Francia, invece, l’orario di lavoro fu ridotto a 35 ore settimanali già alla fine degli anni Novanta attraverso due leggi dovute all’ex ministra Martine Aubry, all’epoca del governo Jospin. Oltre le 35 ore, si va nell’orario straordinario (che si paga almeno il 10% in più). Generalmente e in assenza di accordi diversi, per le prime 8 ore di straordinario si paga il 25% in più, per le successive si arriva al 50%.

In Germania, l’accordo con gli industriali, ha portato a un contratto collettivo che, pur essendo un compromesso al ribasso rispetto alle promesse iniziali, consente ai dipendenti che devono occuparsi di un bambino e di un parente malato di chiedere la riduzione dell’orario a 28 ore per un periodo di tempo che va dai 6 mesi ai 2 anni, dopo il quale si tornerà al regime delle 35 ore. Chi ridurrà l’orario, poi, non avrà un conguaglio dello stipendio ma un bonus in tempo, ossia 8 giorni di ferie a partire dal 2019.

Vale la pena ricordare che nel 2003 la Germania ha introdotto anche i minijob, rapporti di lavoro part-time che non superano la soglia di 450 euro mensili e per i quali sono previsti consistenti incentivi fiscali per le imprese. Sono aumentati sempre di più, fino a toccare la cifra di oltre 7 milioni su un totale di 43 milioni di occupati. Ci sono situazioni nelle quali possono rappresentare una soluzione utile, ma nel corso degli anni hanno anche attirato molte critiche perché anche se possono rappresentare inizialmente una prospettiva temporanea, il rischio è che non se ne esca più.

In Olanda, invece, la settimana lavorativa è di 4 giorni, circa 29 ore di lavoro settimanali, mentre la Norvegia è a 33 ore di lavoro a settimana, con 21 giorni di ferie pagate e 43 settimane di congedo parentale.

GLI ESPERIMENTI – E c’è chi guarda oltre. In Svezia il comune di Göteborg, governato dalle sinistre democratiche, aveva introdotto l’esperimento dell’orario di lavoro ridotto a sei ore al giorno per i dipendenti dell’ospizio di Svartedalen. Ma se i dipendenti hanno lavorato meglio perché più riposati, è anche vero che per compensare la riduzione dell’orario è stato necessario assumere 17 persone in più. Per un costo di circa 1,3 milioni di euro.

È stato fatto così un passo indietro, anche se alcune aziende hanno comunque adottato il nuovo orario trovandolo vantaggioso. In Danimarca, invece, si lavora 33 ore a settimana, ma negli uffici municipali di Copenhagen è al vaglio un progetto che prevede una settimana lavorativa di 30 ore. E se il Belgio è a quota 35 ore, l’ex premier Elio Di Rupo, leader del partito socialista, ha proposto una riduzione a 30 ore e 24 minuti a settimana.

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