Rinviato all’ultimo minuto alla prossima legislatura. L’ufficio di presidenza convocato (oggi alle 12), con una tempistica singolare, a Camere già sciolte ha decino di non bandire, a tre settimane dal voto, concorsi pubblici rivolti all’assunzione di consiglieri parlamentari del ruolo generale, documentaristi e tecnici informatici. A leggere il parere sottoscritto da alcune sigle sindacali interne (Osa-Camera, Uil-Camera, Sci e Cisl), un bando dai conti evidentemente sbagliati. Il fabbisogno stimato dall’amministrazione di Montecitorio, è scritto infatti nel documento, sarebbe stato quantificato “in misura abnorme” rispetto alle reali necessità.
Il nodo dell’organico della Camera dei deputati è un problema annoso. Basti pensare che l’ultimo concorso per consiglieri parlamentari risale a sedici anni fa. Dal 2007, con il blocco totale delle assunzioni (per tutti i profili), il numero dei dipendenti in servizio è sceso da 1.839 a 1.126 unità (alla data del primo gennaio 2018). Ma adesso, pur esprimendo “compiacimento” per “la predisposizione di un piano dei fabbisogni organici”, che costituisce “la base per una corretta gestione, pianificazione e programmazione delle risorse umane in ottica di efficienza ed economicità”, sono gli stessi sindacati di Montecitorio ad evidenziare “due gravi criticità”. A cominciare “dall’assenza di un progetto di aggiornamento del ruolo e delle funzioni dei dipendenti della Camera e l’eccessivo e deleterio peso che viene dato allo strumento delle esternalizzazioni, non solo in funzione della determinazione dei fabbisogni organici di alcune professionalità”. Questione, quella delle esternalizzazioni, sulla quale, aggiungono nel parere, “non possiamo non rilevare che la determinazione dei fabbisogni di alcune professionalità scaturisce essenzialmente dalla progressiva assegnazione a personale esterno delle attività non direttamente strumentali all’esercizio delle funzioni parlamentari”. Per questo, avvertono, è necessario “definire in maniera concreta e puntuale le regole e i criteri in materia di esternalizzazioni”.
Ma è proprio sulla stima dei fabbisogni che i sindacati sollevano le principali riserve. Una stima “in misura abnorme” che troverebbe conferma, innanzitutto, nell’“elevato rapporto consiglieri/dipendenti che passerebbe da 1 consigliere di professionalità generale ogni 13 dipendenti del 2007 ad 1 consigliere ogni 8 dipendenti alla luce del fabbisogno minimo e massimo ipotizzato”. Una quantificazione, peraltro, che “risulta per di più eccessiva, in quanto in contraddizione con lo svolgimento di funzioni manageriali e gestionali, a cui fa riferimento lo stesso documento amministrativo”. Cifre, inoltre, sproporzionate se raffrontate con quelle di Palazzo Madama. Il “numero dei consiglieri definito nella pianta organica del Senato”, infatti, è “pari a 125 unità”.
In regime di bicameralismo perfetto in cui ciascun ramo del Parlamento è chiamato a svolgere le medesime funzioni e i medesimi compiti “appare sintomo di inefficienza e diseconomia organizzativa della Camera la fissazione di un fabbisogno minimo e massimo superiore rispettivamente del 36% e del 52% alla pianta organica determinata al Senato”. Uno squilibrio tra i due rami del Parlamento, concludono i sindacati, che “non può essere meramente giustificato dalla più ampia numerosità dei parlamentari”. Insomma, “l’unico elemento che emerge con chiarezza”, hanno aggiunto i sindacati (Ils, Sindacato Autonomo, Uil, Osa Camera, Sci) in una lettera inviata ieri alla presidente della Camera, Laura Boldrini, ai componenti dell’Ufficio di presidenza e per conoscenza anche alla segretaria generale di Montecitorio Lucia Pagano, “è la volontà dei vertici amministrativi di assumere nuovi consiglieri parlamentari”. Una decisione, hanno concluso, “che ci trova in forte opposizione”.
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