La notizia degli arresti in un’operazione antidoping dei dirigenti di una delle maggiori squadre dilettantistiche del ciclismo italiano, la Altopack Eppela, effettuati dalla Polizia di Lucca non è “la solita storia”. Doping e ciclismo “pedalano” a fianco da troppo tempo e in maniera sempre più subdola e pericolosa. Il danno, secondo me, lo subiscono in tre: il mondo del ciclismo stesso che perde di credibilità, l’appassionato, anche il più accanito, che guarda con sospetto a ogni impresa e il ciclista stesso che, pensando di svoltare, usa sostanze proibite mettendo a rischio la propria salute, la propria vita. C’è voluta la morte di Linas Rumsas, il 2 maggio 2017, 21enne promessa lituana, figlio di Raimondas che salì pure sul podio al Tour de France nel 2002 prima che il doping “arrestasse” la sua corsa e fratello di Raimondas junior, appena squalificato per quattro anni per il solito “problemino” divenuto tragicamente “tradizione familiare”.

Alla morte di Linas gli investigatori si sono concentrati sulla gestione del team per il quale corrono tutti ragazzi under 22: il vivaio, il futuro, la speranza di questo sport. L’Altopack pare trascorresse lunghi periodi in ritiro in un casale a poche centinaia di metri dall’abitazione dei Rumsas, ad Altopascio, nel Lucchese. Gli appostamenti avevano permesso di scoprire che i ciclisti si spostavano spesso in questo casale, poi è stato scoperto il perché. In questo casale, e poi negli uffici e nelle abitazioni delle persone coinvolte, era stato organizzato un apparato votato alla “cultura del doping”.

Il presidente della squadra sospettato di incoraggiare i giovani ciclisti a prendere epo in microdosi, ormoni della crescita e antidolorifici a base oppiacea è la negazione della cultura sportiva. Diffondere questo messaggio fra ventenni è una doppia colpa, gravissima perché macchia il presente del ciclismo e lo fa dalla base, apparentemente più solida negando un futuro fatto di valori genuini. Terribile che ciò succeda in una squadra ben organizzata, in una terra che è sempre stata la culla dei talenti migliori. Quanti ragazzini, anche dalla mia Sicilia, sono diventati campioni in Toscana, venendo accolti e trovando una seconda famiglia che li faceva diventare uomini oltre che sportivi. I colpevoli di ciò, se tali saranno giudicati, tradiscono tutti, pure se stessi senza forse rendersene conto. Qual è, mi chiedo adesso, il genitore che affiderà senza remore un figlio talentuoso a un team ciclistico per trasformarlo in campione delle due ruote?

Così, a intuito, direi che preferirà vederlo giocare su un campo di calcio o con in mano una racchetta, si guadagna pure di più, al diavolo la passione. L’effetto boomerang che questi dirigenti non hanno voluto calcolare sarà enorme e chissà per quale obbiettivo economico hanno svenduto l’anima. Ora ci sarà il processo, e tanti altri dettagli verranno fuori, con molta probabilità la volpe verrà allontanata dal pollaio e per un po’ ne starà fuori, appostandosi comunque nelle vicinanze. Una sola cosa adesso mi resta da dire con forza, perché io faccio parte della categoria degli appassionati e sono stufo: basterebbe un pulcino ribelle in ogni pollaio per scacciare le volpi, eppure questa rivoluzione non avviene mai, bisogna che qualcuno ci rimetta le penne a 20 anni per parlarci su qualche giorno e poi dimenticare. Cari “pulcini” abbiate coraggio e salvatevi prima di diventare carne da macello, denunciate un sistema che vi propina la morte. Non siate polli!

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