Quando è arrivata nella fortezza di Paliano, nel 2006, erano rimasti 29 detenuti. L’unico carcere in Italia, in provincia di Frosinone, esclusivamente riservato ai collaboratori di giustizia da lì a poco sarebbe stato chiuso. Le celle erano fatiscenti e non c’era niente da fare tutto il giorno se non fissare il vuoto. Nadia Cersosimo ha 52 anni, di cui 23 passati a dirigere istituti penitenziari. Oggi, grazie alla sua tenacia, le mura della fortezza che fu della famiglia Colonna, nel cuore della Ciociaria, sono rinate e accolgono 89 criminali che hanno deciso di collaborare con la magistratura.

“È stata una sfida – commenta -. Pensavo di restare solo qualche mese ma sono diventati 11 anni”. E il carcere si è trasformato in una casa. “Da tre anni vivo nell’alloggio demaniale sopra il mio ufficio, con le finestre che si affacciano sul piazzale dell’istituto”, racconta. Al mattino scende un piano di scale e passando davanti al laboratorio di cucina dove lavorano alcuni prigionieri sente l’odore dei cornetti appena sfornati. Quando ha cinque minuti liberi entra e suggerisce ricette calabresi, come la pasta al forno con le uova sode, perché lei è nata nella provincia di Cosenza e la sua terra ce l’ha nel sangue. Capita che si metta anche ai fornelli quando ci sono ospiti. E tutte le domeniche va a messa con i detenuti nella cappella interna.

Anche Nadia si mette ai fornelli quando ci sono ospiti. E tutte le domeniche va a messa coi detenuti

Nadia si è portata anche i suoi genitori dentro il carcere. “Fin quando era in vita mia madre era lei che insegnava ai detenuti a preparare bignè, bocconotti e cannoli”. Tutti i parenti le hanno dato una mano. “Le mie nipoti hanno decorato le pareti della sala colloqui per renderle più accoglienti. Anche le mie sorelle mi hanno aiutato a sistemare il posto. Siamo una famiglia detenuta praticamente”. Sorride. Ma chi glielo ha fatto fare di mollare la città per isolarsi in un carcere di massima sicurezza che stava per cadere a pezzi, incastonato in cima a una collina e circondato da un borgo di un’altra epoca e di poche anime nelle campagne di Frosinone? “A volte me lo chiedo anch’io. Ma non mi sono mai pentita. I miei sforzi sono stati ripagati dai risultati e ogni giorno da chi ha sbagliato imparo qualcosa”.

Non avendo abbastanza soldi per ristrutturare l’antico forte, la prima cosa che ha pensato Nadia è stata quella di mettere al lavoro i detenuti. “Senza la loro manodopera gratuita niente sarebbe stato possibile – sottolinea -. Hanno rifatto le celle, i corridoi, gli spazi comuni e l’area verde, e hanno messo in piedi un sistema di videosorveglianza che sembra assurdo ma in un luogo del genere fino a quel momento mancava ancora”. Ora a Paliano i detenuti possono frequentare le scuole e hanno una biblioteca a loro disposizione. E tutti hanno un lavoro. C’è chi si occupa dell’orto biologico e chi prepara le conserve di pomodoro. E poi chi bada agli animali. “Abbiamo 200 galline, 70 conigli, sei capre che tengono pulito il giardino lungo il muro di cinta, sei asini, due maiali, un cavallo e fra poco 30 pecore. Vorremmo creare una pensione per cani e un allevamento di fattrici di razze utili alle forze di polizia” spiega Nadia. Insomma dove prima c’erano solo terreni deserti adesso è sorta una piccola azienda. I prodotti sono in venduta nello spaccio interno, solo per i dipendenti della struttura al momento. Chi non lavora all’aria aperta è impegnato in uno dei laboratori. A infornare pizze e dolci. A realizzare piatti e vasi di ceramica. A dipingere icone o lavorare il legno.

A noi donne per farci ascoltare basta uno sguardo. La differenza di genere, soprattutto in un carcere pieno di uomini, è un valore aggiunto

Mentre nel carcere di Paliano si compiva un miracolo, lo Stato investiva sempre di meno nella sicurezza e il personale è stato drasticamente tagliato. Fino ad avere meno della metà degli agenti in dieci anni (da 108 a 40). Ma Nadia (che dice che ne servirebbero almeno 30 in più) non si è mai persa d’animo. Direttrice visionaria e instancabile, che tante volte ha coperto il turno in portineria perché chi è andato in pensione non è stato sostituito, è una delle 89 donne a capo di un istituto penitenziario (contro i 56 direttori uomini). Una maggioranza rosa ormai da anni. Nadia è orgogliosa: “Abbiamo una marcia in più. Siamo più empatiche e anche più autorevoli. A noi non serve la voce grossa per farci ascoltare, ci basta uno sguardo. La differenza di genere, soprattutto in un carcere pieno di uomini, è un valore aggiunto. I pregiudizi sono subito vanificati dal lavoro che fai”.

La scorsa primavera Papa Francesco è andato a Paliano (sopra) dopo aver ricevuto una lettera di Nadia. “Mi ha detto ‘lei è come una mamma per i detenuti’. Non ho sentito sminuito il mio ruolo, anzi. Il Santo Padre ha riconosciuto il valore morale di una madre per chi deve riemergere dalla delinquenza. I detenuti si rivolgono a me non solo come direttrice ma anche come persona. Spesso mi coinvolgono nelle loro questioni private, mi chiedono di mediare con le mogli e i figli”. Lei invece è ancora single. “Non perché ho messo al primo posto la carriera. Non è vero che devi rinunciare a tutto per fare bene il tuo lavoro. Io un uomo non ce l’ho perché non ho ancora trovato quello giusto, semplicemente. Ma alle mie nipoti dico sempre, mi raccomando siate autonome anche in coppia, non dovete mai dipendere da un uomo”.

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