“In Italia le condizioni per poter vivere autonomamente all’età di 30 anni sono poche e geograficamente confinate al Nord”. Enrico Varrecchione lo dice con coscienza, perché lui è tra coloro che – dopo anni di lavoro all’estero – ha potuto provare a tornare a vivere in Italia, a suo dire, proprio perché viene dal nord. “Forse se arrivassi da un paesino della provincia di Crotone avrei fatto un po’ più di fatica”. Non che la strada non sia in salita, per il 30enne che dopo quattro anni passati fuori dal Belpaese da questa estate è tornato a vivere a Gavi, paesino di 5mila abitanti tra Liguria e Piemonte. “Qui siamo forse un po’ isolati”, racconta Enrico. Eppure in quel paesello c’è una componente impagabile della sua vita: la sua famiglia.

“Vivere all’estero finisce per isolarti e a volte fa bene rituffarsi nelle proprie origini, avere a che fare con qualcosa di più familiare”. Perché per il 30enne piemontese stabilirsi Oltralpe può anche essere sinonimo di “solitudine e depressione”. “È una storia che non raccontano in molti, probabilmente per vergogna o timore di mostrare di non avercela fatta”, spiega Enrico ricordando gli attacchi di panico di qualche tempo addietro. “Ho parlato con uno psicologo italiano che si occupa di aiutare gli expat e mi ha confermato come questo problema sia molto più diffuso di quanto si creda”. Da un lato mancano le strutture di supporto nei paesi di riferimento, “anche perché forse è importante avere a che fare con qualcuno che parla la propria lingua madre”, dall’altro “in Italia ci sono pochi professionisti disposti ad aiutare online”.

Ho parlato con uno psicologo italiano che si occupa di expat. Mi ha detto che il senso di solitudine è più diffuso di quanto si creda

Dopo una laurea in giornalismo all’università di Örebro in Svezia, negli ultimi quattro anni Enrico ha vissuto in quattro paesi diversi occupandosi delle cose più disparate: scolaresche italiane in Irlanda e Regno Unito, informatica in Ungheria e partite di calcio come scout in Svezia, lavorando anche come giornalista freelance. La sua storia la racconta al plurale perché con lui, in Italia, la tranquillità non gliel’ha data solo la sua famiglia ma anche la sua compagna, ex bancaria ungherese che dopo 12 anni di lavoro a Budapest, stanca della routine, ha scelto di seguirlo in Italia. “La mia compagna ha sempre apprezzato la nostra cultura e il nostro modo di vivere, e desiderava provare a vivere in un ambiente difficile come il nostro. Io, invece, vorrei mettermi alla prova dopo aver studiato e lavorato lontano dall’Italia”.

Perché il progetto di Enrico ha un nome: si chiama Willy Worka ed è una comunità online con oltre 5.800 followers su Facebook. “Mi piacerebbe poter aiutare chi desidera trasferirsi all’estero, magari poi per tornare e mettere a disposizione le proprie conoscenze e risorse”. Oltre a questo progetto, che è ancora in fase di sviluppo, Enrico dal suo paesello si occupa di traduzioni ed è tornato a scrivere per alcuni quotidiani locali. “Negli ultimi quattro anni sono riuscito a mettere da parte qualcosa su cui poter contare in questi primi mesi. Ma non so ancora per quanto rimarrò in Italia perché ovviamente non si può vivere di sola aria o di sogni”. Anche la sua compagna, infatti, fatica a trovare lavoro, nonostante la conoscenza di inglese, tedesco e di un po’ di russo. “È un problema che abbiamo riscontrato anche con altri expat che vivono in Italia”.

Ora sto provando a rischiare in Italia, ma se non riuscissi sarò costretto ad andarmene di nuovo

La rabbia sale, a fine giornata, perché la coppia sa perfettamente che all’estero la situazione lavorativa potrebbe essere più facile, eppure hanno scelto di restare. “Se domani mandassi un curriculum ad un call center a Budapest, in una settimana avrei un lavoro. Se andassi a Londra e iniziassi a girare le aziende che mi interessano di più, nel giro di un mese sarei a posto. Ora sto provando a rischiare in Italia, ma se non riuscissi sarò costretto ad andarmene di nuovo”. Pensi che ti pentirai di essere tornato a casa? “Spero di no, ma non è una circostanza da escludere”.

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