“Con le correnti, una bottiglia di plastica che cade in mare in Africa può arrivare tranquillamente nel mezzo dell’Oceano Indiano!”. Non è certo un esempio teorico quello di Francesca Clapcich. La velista triestina che ilfattoquotidiano.it ha intervistato via Skype da Hong Kong è l’unica donna italiana a partecipare alla Volvo Ocean Race (VOR), regata che fa il giro del mondo in equipaggio a tappe, 45.000 miglia nautiche, attraverso quattro oceani, che da questa edizione ha anche un programma scientifico che utilizza le barche in regata per raccogliere informazioni e cercare di capire di più circa la portata dei danni che la plastica e altri agenti inquinanti stanno causando all’ecosistema blu. Non solo. Francesca fa parte di un equipaggio molto particolare, quello di Turn the Tide on Plastic. Questa barca, che rappresenta le Nazioni Unite e che appoggia il progetto Clean Seas del programma dell’agenzia dell’Onu per l’ambiente (UNEP), ha come obiettivo, oltre a raccogliere dati scientifici, quello di sensibilizzare il pubblico sull’inquinamento devastante dei nostri oceani.

“In questi ultimi 3 mesi in mare ho visto tanta, troppa plastica!”, racconta la velista, “e in qualsiasi luogo dell’oceano! Abbiamo visto bottiglie di plastica a più di 2500 miglia di distanza dalla terraferma, al limite degli iceberg … è un luogo talmente remoto che pensi che sia intatto ma non lo è affatto! Con le correnti, una bottiglia di plastica che cade in mare in Africa può arrivare tranquillamente nel mezzo dell’Oceano Indiano! Ovviamente vicino alle coste c’è molto più inquinamento, ma quello che spaventa è che oramai vediamo plastica ovunque. Io per fortuna non ho ancora notato le conseguenze dirette dell’inquinamento sulla fauna marina, ma purtroppo non significa che il problema non ci sia, anzi! Ci sono sempre più casi di uccelli trovati morti con lo stomaco pieno di rifiuti, è assolutamente abominevole e la colpa è solo nostra!”, aggiunge.

“Purtroppo ci siamo abituati a comprare e buttare qualsiasi cosa senza renderci conto che tutto quello che non riutilizziamo e non è biodegradabile finisce inevitabilmente nel nostro ambiente. La nostra campagna si basa proprio sul riutilizzo della plastica e sull’uso di prodotti e materiali alternativi e meno invasivi a livello ambientale. In barca non usiamo bottiglie di plastica, ma bottiglie riutilizzabili di metallo, cerchiamo di evitare le cannucce per le bibite, di portare la nostra tazza per il caffè take away … piccoli dettagli che possono cambiare il nostro pianeta e ridurre la plastica!”. E circa le microplastiche, minuscole particelle di plastica prodotte sia da cosmetici e processi industriali, sia dalla disintegrazione di pezzi più grandi di spazzatura, che vengono ingerite e accumulate nei tessuti di molti organismi marini e che invadono silenziose l’oceano, Francesca racconta che “in barca abbiamo un sistema che la calcola, visto che navighiamo in luoghi remoti del pianeta come l’oceano del sud a meno di 40 gradi sud. E non sono dati confortanti: ci sono particelle di microplastica anche in luoghi assolutamente non frequentati dall’essere umano”.

Insomma, niente che non ci riguardi, nonostante sembri un problema molto lontano da noi. “C’è bisogno di consapevolezza, capire che il problema c’è, esiste e va risolto”, conclude Francesca. “Dobbiamo rimboccarci le maniche e ripulire quello che abbiamo sporcato, organizzare dei Clean Up nelle nostre spiagge, cercare di far capire alla gente che tirare un tappo di plastica a terra può avere conseguenze anche mortali per un animale marino. Per bere una coca cola non è necessaria la cannuccia e se nessuna inizia ad utilizzarle più, nessuno probabilmente le produrrà più”.

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