Su circa duemila persone sentite, in 1.104 non hanno riconosciuto la propria firma. In pratica più della metà delle sottoscrizioni che comparivano nei moduli raccolti nel 2012 per permettere al Movimento 5 stelle di candidarsi alle amministrative di Palermo. Quanti hanno invece dichiarato di avere firmato quei documenti? Solo 668, poco più di un quarto. Con la deposizione di Giovanni Pampillonia, dirigente della Digos di Palermo, entra nel vivo il processo per le cosiddette “firme false” del M5s alle comunali del capoluogo siciliano di cinque anni fa. Alla sbarra, davanti alla giudice monocratica di Palermo, Luisanna Cattina, 14 fra attivisti, ex attivisti e deputati del Movimento 5 Stelle.

Come ha raccontato oggi lo stesso Pampillonia, che ha rispoto alle domande del pm Claudia Ferrari, l’inchiesta nacque da un esposto anonimo presentato nel 2016. Nei fogli allegati alla denuncia – cioè i moduli usati per raccogliere le firme -c’era un errore nel luogo di nascita indicato per uno dei candidati al consiglio comunale. Da qui l’esigenza di ricopiare le firme. “Abbiamo eseguito l’acquisizione dell’intero incarto delle liste presso il comune di Palermo. Abbiamo sentito a sommarie informazioni tutti i firmatari, circa duemila. Già avevamo fatto una serie di campionature dei soggetti escussi”, ha spiegato Pampillonia. “Nel novembre 2016 – ha ricordato il dirigente della Digos – avevamo escusso oltre trecento persone. Che poi sono diventata quasi duemila. E 1.104 non avevano riconosciuto la propria firma”. Secondo la procura, in pratica, alcuni attivisti, dopo essersi accorti che per un errore di compilazione le firme raccolte erano inutilizzabili, avrebbero deciso di ricopiare dalle originali le sottoscrizioni ricevute.

Alcuni di quei giovani sono stati in seguito eletti in parlamento. Tra i deputati a processo oggi ci sono Riccardo Nuti, Claudia Mannino e Giulia Di Vita (nessuno è stato ricandidato dal M5s, mentre Mannino è capolista di Insieme), ma anche gli ormai ex consiglieri regionali Claudia La Rocca e Giorgio Ciaccio, che si erano autosospesi subito dopo l’iscrizione nel registro degli indagati. I due ex deputati all’Assemblea regionale siciliana, fin dall’inizio, hanno collaborato con i magistrati che hanno coordinato l’inchiesta, raccontando quanto accaduto la notte del 3 aprile 2012, quando – secondo i pm e il gip che li ha rinviati a giudizio – vennero le firme per partecipare alle amministrative poi vinte da Leoluca Orlando.

A raccontare in aula cosa sarebbe avvenuto quella notte è stato il teste principale dell’inchiesta: l’ex attivista Vincenzo Pintagro. “Quando quella sera di aprile del 2012 entrai nella sede del M5S e vidi Samanta Busalacchi e Claudia Mannino che stavano ricopiando le firme, mi misi a gridare: Ma siete pazzi? È una follia, è una grande cazzata. Ma, soprattutto, è un reato penale!”, ha ricordato il testimone. “Quella sera – ha spiegato – venne convocata una riunione nella sede per le ore 21 e io arrivai mezz’ora dopo. All’ingresso vidi Claudia Mannino e Samanta Busalacchi che stavano ricopiando delle firme. E chiesi: Ma cosa state facendo? Busalacchi mi rispose: C’è stato un errore formale su un luogo di nascita e quindi stiamo ricopiando le firme. Mi sono alterato ed entrai nella stanza più grande dove c’erano almeno quaranta persone, molti erano in piedi. E io dissi a voce alta: Vorrei sapere chi ha dato il permesso di fare questa enorme cazzata, è un reato penale. Mi rivolsi in particolare a due avvocati presenti, cioè Francesco Menallo e Giampiero Trizzino (consigliere regionale ma non coinvolto nel processo ndr). Ma la cosa finì lì”.

I reati contestati riguardano la violazione del testo unico regionale in materia elettorale. A 11 imputati i pm contestano la falsificazione materiale delle firme. A Nuti, per il quale non c’è la prova della commissione del falso materiale, si imputa, invece, l’avere fatto uso delle sottoscrizioni ricopiate: era lui, infatti, il candidato primo cittadino dei pentastellati nel 2012. Il falso materiale riguarda Samatha Busalacchi, Di Vita, Mannino, e gli attivisti Alice Pantaleone, Stefano Paradiso, Riccardo Ricciardi, Pietro Salvino, Tony Ferrara, Giuseppe Ippolito e gli ex consiglieri regionali Ciaccio e La Rocca. Per il cancelliere del tribunale Giovanni Scarpello l’accusa è di avere dichiarato il falso affermando che erano state apposte in sua presenza firme che invece gli sarebbero state consegnate dai 5 Stelle. Reato di cui risponde in concorso con Francesco Menallo, avvocato ed ex attivista grillino che consegnò materialmente le firme al pubblico ufficiale.

 

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