E’ fin troppo facile sottolineare l’utilità della presenza dello psicologo nella scuola di fronte a vicende come quella dell’istituto tecnico di Cassino che un servizio di appoggio psicologico ce l’ha. La scuola si conferma il luogo, o meglio la rete di relazioni, a cui fare riferimento se le condizioni familiari non sono ottimali, a cui appoggiarsi quando la famiglia sembra avere pochi strumenti, per incapacità, disattenzione o difficoltà a riconoscere realtà inaccettabili. La scuola si conferma come un prolungamento dell’attaccamento, come ho già scritto in un altro post.

La vicenda di Cassino parte dallo svolgimento di un tema insidioso “Scrivi una lettera a tua madre confessandole ciò che non hai il coraggio di dirle” che, come l’apertura del vaso di Pandora, può liberare tutti i segreti. Qui è venuta fuori la violenza che una ragazza quattordicenne ha subito dal padre,  e forse molte altre cose non divulgate nei temi dei compagni di classe, ognuno avrà raccontato il proprio segreto.

Il tema è uno strumento importante per gli insegnanti, offre la possibilità di raccontarsi, anche a chi ha più difficoltà. E’ uno strumento utile, da usare con attenzione, avendo consapevolezza di quello che può venire fuori e di quello che si può fare dopo: le denunce nei casi gravi e la complessa gestione dell’aspetto psicologico, affettivo ed emotivo, nell’interesse del minore protagonista della sofferenza che racconta.

La violenza non era stata raccontata prima, probabilmente la ragazza pensava che non ci fossero le condizioni per farlo, che non sarebbe stata creduta, o non era pronta ad affrontare la vergogna e il senso di colpa che pervadono sempre lo stato d’animo di una vittima,  per l’impressione di essere in qualche modo responsabile di quello che le sta accadendo e per la paura di tradire la fiducia di un padre, se pur abusante.

Il senso di colpa è anche un sentimento molto presente in adolescenza, quando inizia la revisione dell’immagine dei genitori e questi diventano meno essenziali per la conferma dell’identità che viene ricercata altrove, allontanandosi fisicamente ed emotivamente da loro.

Il suicidio del padre viene raccontato come un gesto impulsivo coerente con quello che si sa di lui, cioè che sia stata una persona che ha sempre avuto difficoltà a gestire gli impulsi, che lo hanno portato a bere, a giocare d’azzardo, ad abusare della figlia. Il suicidio rappresenterebbe una fuga dalle responsabilità e l’incapacità di recuperare la sofferenza inflitta.

E’ difficile revisionare l’immagine di un padre abusante, ed è difficile portare avanti un percorso di autonomia quando si perde la figura da cui ci si deve affrancare mentre il processo di autonomia è in corso. Se l’abuso e la perdita compaiono insieme, le difficoltà si amplificano. Se poi nella perdita si ritiene di avere una responsabilità.

Sarà più difficile per la ragazza, come anche per le sue sorelle, integrare l’immagine di padre con quella di carnefice. Servirà molto coraggio per farlo. Mi auguro che possano contare sul sostegno affettuoso delle persone care e sull’aiuto delle persone competenti.

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