Immancabile, puntuale e inesorabile è giunta, dalla congrega liberal e mondialista dei signori della finanza di Davos, l’omelia di George Soros. Questa volta il “filantropo” cantore dell’open society (in realtà la società più chiusa della storia umana, che tende a escludere ogni giorno masse crescenti di individui pauperizzati) ha tuonato contro le reti sociali, segnatamente contro Facebook e Google. I quali – egli sostiene – sarebbero realtà perniciose per il bengodi dell’open society, minacce per l’apartheid globale che siamo soliti chiamare capitalismo.

E, in tal guisa, l’apolide esponente della finanza liquida no border rinsalda e conferma le tendenze già in atto: in primis l’ostentato disprezzo della aristocrazia finanziaria e del suo variopinto circo mediatico, politico e giornalistico, verso le reti sociali e gli ultimi spazi di libera espressione delle masse precarizzare e pauperizzate. Così si spiegano – e anche gli allocchi dovrebbero averlo inteso – le crociate contro le fake news.

L’obiettivo conclamato è il controllo millimetrico dell’ortodossia del pensiero di santificazione dei dominanti della classe global-elitaria di cui il “benefattore” Soros è esponente di spicco. Con annessa persecuzione di ogni voce non allineata con il nuovo ordine simbolico globale santificante il dominio della aristocrazia finanziaria e l’oppressione subita dagli sconfitti della mondializzazione (che, oltre al danno, subiscono quotidianamente la beffa di sentirsi dire che vivono nello splendore dell’open society!).

Benvenuti nel nuovo ordine mondiale, la società più asimmetrica e diseguale, l’open society cool, trendy e glamour dove tanta libertà hai quanta puoi comprarne.

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