Cultura

Giornata della Memoria: la dolce vita dei Savoia a San Rossore, dove Vittorio Emanuele III firmò le leggi razziali

Dalla tenuta in provincia di Pisa il sovrano scelse di non fermare la marcia su Roma. E con un segno d’inchiostro, iniziò a cancellare i diritti ai cittadini di origine ebraica. Il giornalista Renzo Castelli racconta la vita della famiglia reale durante il fascismo nel libro "Storia illustrata di un parco". Perché lui, figlio di un dipendente di San Rossore, è cresciuto lì negli anni che hanno preceduto la Seconda Guerra Mondiale

di Ilaria Lonigro
Giornata della Memoria: la dolce vita dei Savoia a San Rossore, dove Vittorio Emanuele III firmò le leggi razziali

Il mare, i pini, il nullaosta alla marcia su Roma. Spaghetti e arselle, la pennichella, la firma alle leggi razziali. Così, infilate in una routine da casa di riposo (di lusso), Vittorio Emanuele III prendeva le decisioni per l’Italia. Governando, si fa per dire, il Paese, dalla sua tenuta nel Parco di Migliarino San Rossore, a Pisa. Qui si trasferiva con il treno reale, famiglia al seguito, per sei mesi l’anno, da giugno a novembre, quando ripartivano dopo aver dato un ricevimento per il prefetto e le autorità.

Un universo onirico, quello di San Rossore. Un parco di pini affacciato sul mare, a cinque chilometri dalla torre pendente, animato da daini, cinghiali, cavalli. Ai tempi del re c’erano pure i dromedari, usati per caricare la legna straccata in spiaggia, una tra le più selvagge e suggestive d’Italia, ancora oggi. Un sogno, San Rossore, dal quale Vittorio Emanuele III preparò l’incubo del resto d’Italia. Da San Rossore, nel 1922, lui scelse di non fermare la marcia su Roma. Sempre da San Rossore, mise la firma alle famigerate leggi razziali, nel 1938, come ricorda oggi una targa nel parco.

Lui era nella sua nicchia, caccia, mare, documenti di Stato che gli facevano firmare, spaghetti alle arselle o daino. Fascisti in San Rossore non si son mai visti

Il racconto esclusivo di un testimone – A cosa pensava, cosa faceva, come viveva quei momenti il re, lo racconta a ilfattoquotidiano.it il giornalista Renzo Castelli. Il suo “babbo” era un dipendente di San Rossore e Castelli è cresciuto lì, prendendo i cioccolatini da Vittorio Emanuele III, “una volta al mese, non più di uno, era tirchissimo”, e sputando le marmellate alle ortiche preparate dalla regina Elena, “tremende, aveva imparato in Montenegro a fare questi troiai. Il babbo le portava a casa e la mamma le buttava via”.

Con Giuseppe Meucci e Antonio Giuntini, Castelli ha scritto Storia illustrata di un parco, edito da Pacini. Il ritratto che esce dalla nostra intervista è quello di un re tanto pericoloso quanto fuori dalla realtà, che viveva il governo del Paese dividendosi tra tuffi in mare, battute di caccia e pennichelle pomeridiane. Se l’Italia finiva sotto la dittatura, a San Rossore non cambiava niente. “Lui era nella sua nicchia, caccia, mare, documenti di Stato che gli facevano firmare, spaghetti alle arselle o daino, la sera a letto alle nove e mezzo tassativamente. Senza particolari smargiassate, fascisti in San Rossore non si son mai visti”.

Quando non rispose al telegramma per fermare la marcia su Roma – Sveglia alle sei. Caffè amaro e tre gocce di latte freddo: dopo la colazione, il re sbrigava la posta arrivata la sera prima. Come non fece nell’ottobre del 1922, quando ricevette a mezzanotte un telegramma, spedito dal primo ministro. Luigi Facta era in allarme per l’imminente marcia su Roma. Chiedeva lo Stato d’assedio. “Il re doveva rispondere subito e confermare ufficialmente. Non gli rispose mai. Facta si dimise, il re andò a Roma, ricevette Mussolini e gli dette l’incarico di primo ministro. Il re le decisioni le prese a San Rossore. E ce ne furono alcune, come questa, gravissime”.

Tanti ebrei erano amici del re, ci fu uno scandalo a corte. Gente con cariche importanti, furono cacciati tutti

Passeggiatina coi piedi nell’acqua, gossip e firma delle leggi razziali – Sbrigata la posta della sera prima, ogni mattina il re camminava fino al mare e si faceva raccontare i pettegolezzi dal guardiacaccia. “Con Antonio Fiore, il re passeggiava lungo la battigia coi calzoni rimboccati, e chiedeva gli ultimi aneddoti su San Rossore”. Lì lo attendeva un’auto, che lo portava allo chalet del Gombo. “Fatto costruire da Vittorio Emanuele II. Uno chalet in stile alpino, sul mare: era un ignorante bestiale. Il re andava lì a prendere i telegrammi da Roma, o nella villa di Cascine Vecchie, fatta saltare in aria dai tedeschi, insieme al Gombo, nell’agosto del ’44, quando si ritirarono da Pisa”. Fu nella villa delle Cascine vecchie, dopo la sua passeggiata fino al mare, che il 5 settembre del 1938, alle dieci di mattina, il re firmò le leggi razziali. Con un segno d’inchiostro, iniziò a cancellare i diritti ai cittadini di origine ebraica. “Tanti ebrei erano amici del re, ci fu uno scandalo a corte. Gente con cariche importanti, furono cacciati tutti”. Ma a San Rossore poco cambiò.

Spaghetti alle arselle, parmigiano e riposino: il pomeriggio del re – Alle 12 era già ora di pranzo. “Molto frugale. Iniziava con spaghetti alle vongole, che piacevano molto al re e alla regina, e poi il re chiudeva sempre con un pezzetto di parmigiano, era tassativo”. Forse sperava di crescere un po’. “Era alto 1 metro e 51”. Poi, il riposino, fino alle 17. “Alle cinque riguardava i telegrammi di Stato. O andava a caccia, ma detestava i cavalli perché era piccino, doveva salire sullo sgabello”. A volte andava a vedere i dromedari, che di lì a pochi anni avrebbero fatto una brutta fine. “Li mangiò tutti la divisione kazaka allegata ai tedeschi, per loro erano il piatto nazionale”. Alle otto si serviva la cena e alle nove e mezzo tutti a letto.

Anche i giovani Savoia vivevano fuori dal mondo – Anche i più giovani, nella famiglia Savoia, vivevano a San Rossore come fuori dal mondo. “Maria José, moglie di Umberto, il principe ereditario, faceva il bagno con costumi molto succinti per l’epoca, se ne fregava di tutte le convenzioni. Era sportiva e detestava la corte un po’ beghina dei Savoia. Umberto offriva sigarette a tutti. Iolanda, primogenita del re Vittorio Emanuele III, era un maschiaccio, sempre a cavallo, andava pure a caccia. Giovanna, un’altra figlia del re, quando il mio babbo venne bocciato a scuola, lei gli regalò un ciuco di bronzo. Meraviglioso, ce l’ho ancora” racconta Castelli.

La regina teneva una cartellina, non si è mai saputo se contenesse documenti o diamanti

Il balsamo magico della regina Elena – “La regina intanto gironzolava per la tenuta, entrava nelle case, chiedeva cosa c’era da mangiare, se sentiva un bimbo tossire si preoccupava moltissimo e lei stessa, allevata alla corte di Russia, aveva imparato tante magie, tante ricette. Aveva fatto un balsamo, anch’io ne ho goduto. Quando sentiva un bimbo con la tosse dava questa boccettina col balsamo e la mamma era “costretta” a spargerglielo sul petto. Se il bimbo peggiorava lei lo faceva mandare in sanatorio 20 giorni, anche un mese” ricorda il giornalista.

La guerra, la mantellina e la cartellina misteriosa – La guerra portò qualche cambiamento a San Rossore: alcuni dipendenti, tra i quali il padre di Castelli, dovettero andare al fronte. Ma ai Savoia cambiò poco. I figli furono spediti in Svizzera. Il re e la regina rimasero, con l’unica differenza che non si mettevano più a letto alle nove e mezzo. “Alle dieci di sera, se il re vedeva i bengala su Livorno che illuminavano il cielo prima del bombardamento, lui indossava la mantellina, se era freschino, e con la regina si metteva con una seggiolina alla porta del rifugio aereo che loro si erano fatti costruire accanto alla villa di Cascine vecchie. C’è ancora oggi. La regina teneva una cartellina, non si è mai saputo se contenesse documenti o diamanti. Non lo sa nessuno”. Gli altri si arrangiavano come potevano. “La mia mamma mi metteva in una materassa, mi avvolgeva, e si andava lungo l’argine dell’Arno per ripararci dalle schegge”. Il 13 luglio del 1943 i Savoia lasciarono San Rossore per fare ritorno a Roma. Evitarono l’arrivo dei tedeschi, i bombardamenti massicci su Pisa, il passaggio degli americani. Fu l’ultima volta che misero piede nel loro paradiso maledetto.

Umberto di Savoia: “A San Rossore anni dolcissimi” – Dopo la guerra, un inviato del settimanale Oggi andò a Cascais, in Portogallo, a intervistare Umberto di Savoia, l’ultimo re d’Italia, che nel frattempo, nel 1944, aveva perso la sorella Mafalda a Buchenwald. “Dell’Italia mi manca soprattutto San Rossore. Là ho trascorso delle vacanze indimenticabili. Là ho imparato a nuotare. Là la nostra famiglia si riuniva serenamente, il re mio padre, la regina mia madre, io con le mie sorelle e i nostri tutori. Quelli di San Rossore sono stati anni dolcissimi”. Oggi, di quegli anni, a San Rossore una targa ricorda solo una cosa: la firma delle leggi razziali, nel 1938.

(Gallery: foto dall’archivio personale di Renzo Castelli.
1 – La villa di Cascine Vecchie dove avvenne la firma delle Leggi. Era stata costruita da Leopoldo II di Lorena nel 1829 e ristrutturata in parte nel 1926 dai Savoia, che vi aggiunsero una terrazza e il relativo porticato
2 – Il re al mare del Gombo (San Rossore) nel giugno del 1942
3 – Tutta la famiglia reale a San Rossore nel 1929 con i dromedari. Da sinistra, il re; sul dromedario da sinistra, Mafalda, Umberto, Giovanna; in piedi al centro, Iolanda; all’estrema destra, Maria)

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