“Mamma aiuto, il treno sta deragliando…”. Sono le ultime parole di Giuseppina Pirri, 39 anni, di Cernusco sul Naviglio, al telefono con la madre alle 6.55 di stamattina. Poi è caduta la linea e c’è stato solo silenzio – racconta il padre Pietro -. Mia moglie le ha detto scappa ma poi non ha sentito più niente. Sono andato là ed era ancora incastrata dentro al treno. Poi mi hanno detto che non ce l’ha fatta” aggiunge l’uomo ricordando che la figlia “si lamentava sempre perché i treni erano spesso rotti e sempre pieni”. Giuseppina è una delle tre donne morte nel convoglio di Trenord uscito dai binari questa mattina alle 6.57 a Seggiano di Pioltello, alle porte di Milano. Diplomata in ragioneria, prendeva quel treno tutte le mattine per andare al lavoro in una società di recupero crediti a Sesto San Giovanni. Le tre vittime viaggiavano tutte sul terzo vagone.

 

Pierangela Tadini, 51enne originaria di Caravaggio ma residente a Vanzago (Milano), viaggiava con la figlia Lucrezia di 18 anni, che si è salvata ma è rimasta ferita. “Lucrezia ha preso una botta forte, è in ospedale, cercate di capire” ha raccontato una parente ai giornalisti che, a Vanzago, le chiedevano informazioni sulla donna. La 18enne è stata soccorsa e trasportata in ospedale: “Ancora non sono riuscita a parlarle, è un dramma vero”.

Ida Maddalena Milanesi, 62 anni, anche lei di Caravaggio, medico, specializzata in radiologia, neurologia e neurologia oncologica, dirigente dello staff di radioterapia dell’istituto Neurologico Besta di Milano, stava andando proprio in ospedale. “Ida era amatissima, una delle figure più rappresentative del reparto. Per tutti noi era un esempio di dedizione al suo lavoro ai suoi malati, perché più di chiunque altro si prendeva a cuore ogni singolo caso come se riguardasse un suo parente” racconta all’AdnKronos Salute Francesco DiMeco, direttore del Dipartimento di neurochirurgia al quale fa capo l’Unità operativa complessa di radioterapia.

“Ida era qui da moltissimi anni e non è facile condensare tanti ricordi in poche parole. In questo momento viviamo una condizione di choc che investe tutto l’Irccs e tutti i medici, gli infermieri, il personale di radioterapia e radiologia. Ma soprattutto i malati”, insiste DiMeco. Il suo telefonino non smette di squillare, con “messaggi di pazienti che ne ricordano una bontà d’animo veramente rara. Ida per i malati si annullava, dava il suo numero di cellulare a tutti. Assisteva in particolare pazienti oncologici, casi anche pesanti, impegnativi, e questa immensa dedizione le faceva ancora più onore”. La neurologa “era mamma di una ragazza che si sta laureando in Medicina” e riguardano lei le ultime parole che aveva scambiato con il suo capo Dipartimento. “Proprio ieri – conclude il neurochirurgo – mi aveva confidato quanto le avrebbe fatto piacere che la figlia potesse fare un’esperienza qui e io le avevo assicurato che non ci sarebbero stati problemi”. In qualche modo “è come se me l’abbia affidata” e oggi, nell’ora del dolore, anche per una mente scientifica è difficile non pensare a “una sorta di presentimento. Come se sentisse di dover pensare al suo futuro”.

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