Whatsapp dovrà pagare una multa da 50mila euro all’Antitrust per non aver rispettato gli obblighi informativi nei confronti dei suoi utenti. La popolare applicazione di messaggistica (dal 2014 proprietà di Facebook) avrebbe infatti dovuto avvisare i suoi clienti del fatto che ha imposto Termini di Utilizzo vessatori. Ma non lo ha fatto. Per questo dovrà pagare ora il “il massimo edittale attualmente stabilito dalla normativa per l’inottemperanza ai provvedimenti di accertamento della vessatorietà”, come ha spiegato in una nota l’Agcm. Cifra simbolica per una società che è stata valutata 19 miliardi di dollari.

In particolare, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha rilevato come  WhatsApp Inc. non abbia dato esecuzione all’ordine di pubblicazione dell’estratto del provvedimento, emesso nei suoi confronti a maggio 2017, con il quale è stata accertata la vessatorietà di alcune clausole dei Termini di Utilizzo dell’omonima applicazione di messaggistica. Queste clausole riguardano, nel dettaglio: la facoltà di modifiche unilaterali del contratto da parte della società, il diritto di recesso stabilito unicamente a vantaggio del professionista, le esclusioni e le limitazioni di responsabilità a suo favore, le interruzioni ingiustificate del servizio, la scelta del foro competente sulle controversie (ad oggi esclusivamente individuato presso tribunali americani).

“WhatsApp, violando gli obblighi informativi nei riguardi dei consumatori previsti dalla legge,- si legge nella nota dell’Antitrust – ha consapevolmente omesso quanto disposto dall’Autorità nel provvedimento, ossia la pubblicazione del citato documento nella homepage del proprio sito web e la contestuale notifica in app, da inviare a tutti gli utenti WhatsApp italiani, contenente il link alla pubblicazione medesima”, spiega Agcm. Per questi motivi, l’Autorità ha stabilito il massimo della sanzione, 50mila euro, tenendo conto  “non solo della rilevanza del professionista e del suo consapevole rifiuto a pubblicare l’estratto della decisione dell’Autorità, ma anche della circostanza che la pubblicazione è l’unico strumento che assiste l’accertamento della vessatorietà nella disciplina vigente, la quale, allo stato, non prevede l’imposizione di sanzioni amministrative pecuniarie al termine del procedimento amministrativo di accertamento della vessatorietà delle clausole contrattuali”, conclude la nota.

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