I messaggi in chat semplificano la vita, se ci limitiamo allo stretto indispensabile. Ma noi non ci limitiamo e la “distanza” di un messaggio digitato troppo spesso allontana il rapporto umano. Nella classe di mio figlio (quarta elementare) muore (a soli 33 anni) il padre di un compagno: lascia la moglie e due figli. Ma dalla tragedia a Natale passa poco tempo: qualcuno non resiste e deve fare gli auguri alla classe inviando la foto selfie di famiglia confetto (mamma-figli-papà). Nessuno ha il diritto di negarti la felicità del clan perfetto, ma ci sono sensibilità che dovrebbero filtrare il desiderio di esibirlo con chi deve spiegare, a chi resta, che un selfie così non potranno farselo più.

Dal lutto alla democrazia totalitaria la chat è breve: nella quinta elementare di mio figlio (l’altro) urge dare una risposta per un laboratorio in classe su migranti e diritti d’infanzia, con illustratrice cilena​, Francisca Yanez,​ esiliata dal regime di Pinochet. Il consenso delle risposte cresce fino a un padre che “A noi non interessa“. Il cursore lampeggia sul display, attesa di moderazione, pausa, invio “In base alla maggioranza decideremo se farlo” scrive il rappresentante di classe “sarebbe spiacevole escludere 2 o 3 bambini“. Passa e chiude un umanoide digitaleQuando la democrazia diventa totalitarismo“. Minchia!

Sono tentato di provocare con un “Diamo lavoro a una illustratrice cilena che poi anch’io sono un disegnatore professionista e italiano!” ma rischierei la solidarietà sbagliata. La differenza tra chi si emoziona e chi si emoticon si riduce alla velocità del progresso, meglio allarmarsi per le falle informatiche.

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