Cinema

Golden Globes 2018, nessun premio ma il cinema italiano ne esce sicuramente vincitore. Altro che Checco Zalone

Comunque la pensiate a livello critico, Call me by your name di Guadagnino, Ella&John/The Leisure Seeker di Paolo Virzì, e The Young Pope di Sorrentino, si sono intrufolati nell’elite progressista di Hollywood con audace maestria. Senza il bisogno del patentino di qualità dell’orco Weinstein. Senza una vera e propria campagna mediatica internazionale. Bensì con il semplice sapere del proprio mestiere

di Davide Turrini

Anche dalle sconfitte si può imparare qualcosa. Luca Guadagnino, Paolo Virzì, Paolo Sorrentino non vincono nessun Golden Globes, ma il carrozzone dell’industria cinematografica e produttiva dell’audiovisivo italiano (sempre che ce ne sia ancora una) ne esce sicuramente vincitrice. Comunque la pensiate a livello critico, Call me by your name, Ella&John/The Leisure Seeker, e The Young Pope, si sono intrufolati nell’elite progressista di Hollywood con audace maestria. Senza il bisogno del patentino di qualità dell’orco Weinstein. Senza una vera e propria campagna mediatica internazionale. Bensì con il semplice sapere del proprio mestiere. Pensate a Guadagnino, su cui torneremo, anche se non ci saranno nomination all’Oscar.

Regista che da tempo immemore è stato scacciato dal tempio romano che conta. Dopo il cast all star di A Bigger Splash è finito a girare un racconto romantico di formazione tra le pianure e le valli lombarde. Ed eccolo là, senza troppi trucchi alchemici, a sciorinare come ridere tre nomination ai Globes 2018. Della solida e robusta abilità del cineasta Virzì non  ne stiamo nemmeno a parlare. Unico vero erede della commedia all’italiana di Monicelli e Risi, che ha trovato la quadra tra tragico e comico con La Pazza Gioia e poi si è ritrovato Helen Mirren e Donald Sutherland che volevano a tutti i costi salire sul camper del suo on the road americano. Che dire poi di Sorrentino? Anche se il suo papa seriale non fa trasalire, la sua capacità di formulare un linguaggio decifrabile e mimetico nel sistema commerciale hollywoodiano, è comunque un dato di fatto.

Così anche se i frutti delle cinque nomination italiche ai Globes non sono maturate nella notte delle donne unite contro le molestie sessuali, una fenditura consistente nel sistema produttivo statunitense è comunque confermata. Altro che gli incassi dei film di Checco Zalone. Da oggi, anche se potremmo dire oramai da qualche anno, bussare da cineasti e produttori italiani in qualche studio hollywoodiano con uno straccio di soggetto o di intento produttivo, senza essere scacciati come figli di un dio minore, è e sarà un po’ più facile. Erano parecchi anni che questo non avveniva. Forse dai tempi di Salvatores con Mediterraneo, più che dal Benigni portato in palmo di mano con La vita è bella proprio dalla Miramax di Weinstein.

Nei lenti e nuovi equilibri di un’industria che veleggerà sempre più tra grande schermo e monitor del pc, una traccia di creazione targata Italia sembra avere spazio. Ed è una partita di giro. I soldi di solito tornano indietro. Non necessariamente con atteggiamento colonizzatore (chi colonizzava chi, tra Stati Uniti e Italia, ad esempio negli anni sessanta/inizio settanta?), spesso anche con lungimirante voglia di investire. Infine, un’altra piccola nota a margine dei Golden Globes 2018 in chiave dannatamente patriottica. Tre pesanti premi (miglior film, attrice, regia) vanno ai film selezionati (e vincitori) del Festival di Venezia 2017. Anche in quella partita di giro lì, serenamente al tramonto, dei festival novecenteschi, Venezia batte ancora Cannes e Berlino. Se Agatha Christie diceva che “un indizio è un indizio” e “due indizi sono una coincidenza”, attendiamo a breve il terzo indizio per farne una prova.

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