Solo nel supermercato e a pagamento. Anzi no: si possono portare anche da casa, purché siano nuovi. Riutilizzarli, infatti, è vietato. E se qualcuno non rispetta la legge? Toccherà al titolare dell’esercizio commerciale verificare l’idoneità. Tradotto: sui sacchetti bio obbligatori dal primo gennaio 2018 è caos, con il governo che dopo soli quattro giorni è in qualche maniera costretto a intervenire sulla questione. Risultato: la toppa è peggio del buco. Anche e soprattutto perché complica ulteriormente le cose e si riferisce a un aspetto non contemplato nella direttiva Ue del 2015, quella da cui tutta la vicenda ha preso origine.

LE PAROLE DEL MINISTERO DELLA SALUTE – Con ordine. Dopo le polemiche dei giorni scorsi, infatti, stamattina il ministero della Salute non ha potuto far altro che prendere una posizione ufficiale. Con queste parole del segretario generale del dicastero Giuseppe Ruocco: “No al riutilizzo dei sacchetti bio quando si acquista frutta e verdura al supermercato, ma non siamo contrari all’impiego di buste monouso nuove che il cittadino può portare da casa“. “Il problema inizialmente non era sanitario, bensì ambientale – ha ricorda il segretario generale – poi il ministro dell’Ambiente ci ha chiesto un parere che verosimilmente sarà inserito in una circolare unica Ambiente-Salute. Dobbiamo allo stesso tempo assicurare il mantenimento dell’igiene e della sicurezza dei locali”, ha ribadito Ruocco, cercando di “contemperare le esigenze di libertà e di sicurezza”. Fugato l’obbligo di acquistare i famigerati sacchetti nei punti vendita, quindi, ecco aperto un nuovo fronte di divieto, quello del riutilizzo, che a sentire Ruocco “determinerebbe il rischio di contaminazioni batteriche con situazioni problematiche”. Ciò non toglie, però, che il cittadino può portarsi i sacchetti da casa, “a patto che siano monouso e idonei per gli alimenti”. Non esiste, infatti, nessun divieto alla possibilità per il cittadino di utilizzare le proprie buste, “più economiche o addirittura gratuite“. Il titolare dell’esercizio commerciale, ha aggiunto Ruocco, “avrebbe ovviamente la facoltà di verificare l’idoneità dei sacchetti monouso introdotti”. Quest’ultimo dettame, tuttavia, apre il campo a scene surreali, con i titolari dei supermercati e dei punti vendita costretti a vigilare sul tipo di prodotto introdotto dai clienti.

LA POSIZIONE (IDENTICA) DEL MINISTRO DELL’AMBIENTE – La posizione del ministero della Sanità è ovviamente la stessa del dicastero dell’Ambiente. Lo ha anticipato il ministro Galletti in un’intervista a Repubblica. “Parliamo di cibi freschi – ha detto – Vale la normativa igienico sanitaria. Io rivendico la bontà del provvedimento ambientale: ho fatto una scelta chiara e trasparente per evitare abusi, e ne assumo la titolarità. Oggi il consumatore sa quanto paga: tra 1 e 2 centesimi, cifra irrisoria in un anno” ha sottolineato Galletti, secondo cui “se non avessimo fatto la scelta di metterlo in chiaro, il costo sarebbe finito nel prezzo di vendita” e non sarebbe stato “controllabile. L’aumento poteva anche essere molto più elevato, e c’è un dovere di trasparenza verso il consumatore”. In serata, poi, è stato reso noto il contenuto della circolare interpretativa emessa dal Ministero dell’Ambiente e inviata alla grande distribuzione (Coop, Federdistribuzione e Conad): le borse di plastica di qualsiasi tipo, si legge nel documento, “non possono essere distribuite a titolo gratuito” dai supermercati, e “il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino”.

LA DIRETTIVA UE DEL 2015 – Eppure la direttiva Ue del 2015 sulle buste di plastica ha un obiettivo diverso: il “rischio di contaminazioni batteriche” (per dirla con Ruocco) non è neanche contemplato, visto che l’obiettivo unico era quello di ridurre l’uso dei sacchetti, assicurando che non venissero forniti gratis nei punti di vendita. Nessun cenno, quindi, alla questione del riuso né su potenziali conseguenze sanitarie. Una linea confermata in giornata da un portavoce della Commissione Ue dopo la polemica scoppiata in Italia. L’intervento dell’Unione europea sulla materia – è stata la spiegazione ufficiale – nasce dalla “grande preoccupazione” suscitata da un fenomeno che ruota intorno a due cifre: ogni anno vengono consumati 100 miliardi di buste di plastica destinate a restare nell’ambiente per 100 anni. La norma europea è stata messa a punto nel rispetto del principio ‘chi inquina paga’ e tutti i Paesi Ue, ad eccezione di Spagna e Romania, hanno già notificato le misure con cui recepiscono la direttiva. Quindi, ha detto ancora il portavoce, “bisogna fare in modo di utilizzare le buste di plastica solo quando non se ne possa veramente fare a meno e, in alternativa, ricorrere ad altri contenitori riutilizzabili per il trasporto dei prodotti dal negozio a casa”. La direttiva del 2015 dà comunque agli Stati membri la possibilità di introdurre ulteriori ‘misure di mercato‘ per scoraggiare l’uso delle buste di plastica. Insomma: un gran pasticcio.

L’ESPOSTO DEL CODACONS – Sui sacchetti biodegradabili a pagamento il Codacons ha presentato un esposto a 104 Procure della Repubblica di tutta Italia. Lo annuncia con un comunicato l’associazione dei consumatori, che ha deciso di lanciare una battaglia legale contro la misura. “Chiediamo alle Procure di aprire indagini sul territorio alla luce del possibile reato di truffa, verificando il comportamento di ipermercati, supermercati ed esercenti nella vendita dei sacchetti biodegradabili – spiega il presidente Carlo Rienzi – Questo perché stanno arrivando segnalazioni da parte dei consumatori di tutta Italia che denunciano come il costo degli shopper venga loro addebitato anche in assenza di acquisto dei sacchetti, in modo del tutto illegittimo“. In sostanza, denuncia il Codacons, se un consumatore decide di acquistare un prodotto ortofrutticolo sfuso senza imbustarlo, ad esempio un ananas, un mango o anche una sola mela, al momento della pesatura la bilancia emette uno scontrino che contiene già al suo interno l’addebito di 2 o 3 centesimi di euro per il sacchetto di plastica. Critico inoltre il Codacons verso il Ministero della Salute che oggi ha detto “no” alla possibilità di riutilizzare i sacchetti per la spesa di frutta e verdura perché sussisterebbe un rischio di eventuali contaminazioni. “Si tratta di una assurdità clamorosa – attacca il presidente Rienzi – Se il consumatore porta il sacchetto pulito da casa non esiste alcun rischio di contaminazione, semmai è l’ortofrutta esposta in vendita che può contaminare le buste della spesa. Non si capisce poi perché un sacchetto riutilizzabile possa contaminare frutta e verdura e lo stesso discorso non valga per le scarpe, le borse, gli zaini, i cappotti, i guanti indossati dai cittadini che entrano in un supermercato”. L’associazione infine annuncia una istanza d’accesso al Mise per conoscere quali aziende producono bio-shopper in Italia, quali sono i loro profitti e l’entità delle tasse pagate nel nostro paese, ed eventuali rapporti tra i vertici di tali società e membri del Governo e del Parlamento.

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