Una chiave per comprendere il meccanismo che alimenta tutti i tumori. È stata scoperta quella che può essere considerata la “droga” del cancro contro cui diventa ora possibile rivolgere molti farmaci già esistenti. Il risultato, pubblicato su Nature, è del gruppo della Columbia University di New York guidato da Antonio Iavarone. I farmaci che bloccano il meccanismo molecolare che dà energia ai motori del tumore esistono già, anche se sono usati per altri obiettivi. In Francia, ha detto all’Ansa Iavarone, si stanno già sperimentando su alcune forme di tumore. Tra gli autori della scoperta ci sono molti italiani: Anna Lasorella, Angelica Castano della Columbia, Stefano Pagnotta e Luciano Garofano e Luigi Cerulo, che lavorano fra la Columbia e l’università del Sannio, Michele Ceccarelli dell’Istituto Biogem di Ariano Irpino.

I primi indizi dell’esistenza del meccanismo indispensabile ai tumori per crescere e proliferare risalgono al 2012. Allora Iavarone e Lasorella avevano identificato una proteina che nasceva dalla fusione dei geni di due proteine chiamate FGFR e TACC e che agiva come una droga capace di scatenare il tumore e di alimentarlo. La nuova proteina di fusione, chiamata FGFR-TACC, era stata osservata in azione nel piu aggressivo tumore del cervello, il glioblastoma, e si sospettava che potesse essere comune a molte altre forme di tumore. A distanza di cinque anni è arrivata la conferma: “Ora sappiamo che questa fusione genica è frequente in tutte le forme di tumore”, ha detto Iavarone. Adesso è stato ricostruito il meccanismo che alimenta il ‘motore dei tumori’ e si sa che è legato al funzionamento delle centraline energetiche delle cellule, i mitocondri.

L’inizio di tutto è stato nel 2012, quando lo stesso gruppo di ricercatori l’aveva identificata – guadagnandosi la pubblicazione su Science – come causa del 3% dei casi di glioblastoma, tumore che colpisce persone di tutte le età (anche se è più frequente tra i 45 e i 70 anni) e non risparmia i bambini, finito più volte alla ribalta delle cronache negli States. Nel 2015 per la morte del figlio 46enne dell’ex vicepresidente Usa Joe Biden, e prima ancora per la scomparsa del senatore democratico Ted Kennedy nel 2009. Poi di nuovo sotto i riflettori a luglio 2017 per l’annuncio della malattia del senatore repubblicano John McCain. La chirurgia, seguita da radioterapia e chemio – spiegano gli esperti all’Adnkronos – non è ancora in grado di curare questo tipo di cancro che porta a morte la maggior parte dei pazienti in meno di due anni. Gli scienziati hanno ora scoperto che l’elemento cardine del meccanismo innescato dalla fusione dei due geni è l’aumento del numero e dell’attività dei mitocondri, organelli presenti all’interno della cellula che funzionano come centraline di produzione di energia. E ritengono che l’aggiunta di farmaci che interferiscono con la produzione di energia da parte dei mitocondri porterà “benefici importanti” per il trattamento personalizzato dei tumori sostenuti dalla fusione genica Fgfr3-Tacc3. Un passo avanti sulla strada della medicina “su misura”.

Secondo gli scienziati, dunque, la combinazione di farmaci che inibiscono l’attività mitocondriale e quella enzimatica di Fgfr3-Tacc3 potrebbe risultare utile nel trattamento dei tumori che contengono la fusione dei due geni. In studi precedenti i ricercatori della Columbia University avevano dimostrato che ‘farmaci bersaglio‘, che bloccano direttamente l’attività enzimatica della fusione genica, portavano a un aumento della sopravvivenza di topi affetti da glioblastoma. Per questo vengono attualmente testati in pazienti con il tumore cerebrale positivo per Fgfr3-Tacc3 in studi clinici diretti da uno dei co-autori dello studio pubblicato su Nature, Marc Sanson dell’ospedale Pitié Salpetriere a Parigi. “Farmaci che inibiscono enzimi di tipo chinasi sono stati usati in alcuni tipi di tumori con risultati incoraggianti – conclude Iavarone – Tuttavia, con il tempo il cancro diventa resistente a questi farmaci e progredisce. Ipotizziamo che si possano prevenire resistenza e recidiva tumorale attraverso una simultanea inibizione del metabolismo mitocondriale e di Fgfr3-Tacc3. E stiamo testando questa nuova ipotesi nei nostri laboratori della Columbia University“.

Foto di archivio

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