[CONTINUA DA QUI]

Quando passiamo all’analisi del numero di visitatori dei siti web di 10 dei maggiori quotidiani (Tabella 8), le cose cambiano e, mediamente, ogni giorno, tali siti vengono visitati da milioni di lettori: si passa come media mensile per il 1° Semestre 2017 da circa 1,5 milioni de La Repubblica e da 1,1 milioni circa de Il Corriere della Sera, agli oltre 135.000 di Libero.

La comparazione fra i lettori “abituali” fatta a livello internazionale (Tabella 10), di Fonte Eurostat quindi con dati forniti dagli Istituti Centrali Nazionali di Statistica, mostra un dato del nostro Paese per certi versi sorprendente in quanto in controtendenza cioè crescente (47% nel 2007 e 54% nel 2011). Se comparati con quelli analoghi temporalmente della Tabella 3, ma riferiti a chi con oltre 6 anni legge quotidiani almeno una volta a settimana (58,1% e 54,1%) si ritrova perfetta coincidenza nel 2011.

Ciò, fatta la tara delle differenze insite nei target di riferimento, potrebbe significare che 11 lettori su 100 che nel 2007 erano “non abituali”, nel 2011 sette di questi sono divenuti lettori giornalieri.

Nel contesto europeo, tale incremento ha fatto sì che l’Italia, terzultima nel 2007, recuperasse diverse posizioni collocandosi a circa 1/3 di una ipotetica graduatoria. Dal punto di vista del “genere” le donne si confermano ovunque più lettrici degli uomini. I valori minimi di lettori per ambedue i generi, maschile e femminile, oltretutto in peggioramento, si ritrovano sia nel 2007 che nel 2011 in Portogallo e in Romania.

Il raffronto tra le copie cartacee diffuse ogni 1.000 abitanti dei quotidiani in Italia, rispetto alle analoghe  diffuse negli altri Paesi europei (Tabella 11), certamente non ci rende orgogliosi: a fronte di una copia diffusa ogni 2 abitanti per l’anno 2007 della Finlandia (503,2 ogni 1000 abitanti), o all’incirca di una ogni 3 di Gran Bretagna, Lussemburgo, Malta, Germania, passiamo a 1 ogni 10 nel nostro paese (112,2 ogni 1.000 abitanti).

Siamo ai livelli della Spagna e al di sopra solo di Bulgaria, Croazia, Portogallo, Romania. Anche nel confronto con la media europea (2 copie ogni 10 abitanti), non ci collochiamo bene. I dati inoltre smentiscono che la diffusione dei quotidiani, e quindi dei collegati lettori, sia un fatto legato al reddito o al livello di scolarizzazione della popolazione. Che il nostro Paese sia arretrato dal punto di vista informatico viene ben evidenziato dal Grafico 3 in cui l’Italia occupa nel 2015 l’ultimo posto, insieme alla Romania, per l’utilizzo di Internet a scopo informativo (37%).

Se si osservano i dati relativi alla distribuzione del budget pubblicitario italiano (Tabella 12) nell’ambito dei diversi mezzi di comunicazione è facile vedere come essa segua sostanzialmente l’andamento dei media più frequentati dagli utenti.

Negli ultimi 6 anni (2011-2016), in cui, per effetto della crisi si è registrato un calo della spesa pubblicitaria – passata dall’inizio del periodo in esame a quello finale da 8,7 mld di euro a circa a 6,4 – anche il peso dei diversi media ha subito cambiamenti e la stampa, che incideva nel 2011 per 1/4 sul totale della spesa, nel 2016 è scesa al 18% e il solo mezzo che ha conosciuto un incremento è stato la televisione (passata dal 53% al 60% Grafico 4), mentre tutti gli altri si sono mantenuti pressoché costanti. Ciò è molto significativo, poiché, come ben si sa,  la spesa pubblicitaria si colloca là dove maggiore è l’audience.

Negli ultimi anni i principali quotidiani nazionali hanno istituito proprie reti televisive al fine di individuare nuovi percorsi informativi atti a contrastare la profonda crisi del settore. In tale ottica  si colloca la recente iniziativa dell’Editoriale de Il Fatto che sta lanciando “Loft”, una applicazione che consentirà, tra l’altro, di vedere contenuti televisivi autoprodotti in abbonamento o “free” tramite Facebook.

Concludendo, perché questa disaffezione verso l’informazione a mezzo stampa, che nel tempo si accentua a livello europeo e nazionale, dove peraltro non si è mai brillato per la lettura dei quotidiani?

Si possono avanzare solo delle ipotesi: la crisi profonda, in particolare economica iniziata nel 2008, che tutto l’Occidente sta attraversando, il diffondersi di nuovi mezzi (stampa on line), l’incremento di tante trasmissioni di informazioni a tutte le ore e su tutti i canali TV, il populismo, l’indifferenza verso la politica, la sfiducia verso il mondo, il disinteresse verso approfondimenti dell’informazione a favore di messaggi veloci.

(Ha collaborato Mariano Ferrazzano)

Articolo Precedente

Discorso di fine 2017, Sergio Mattarella e Beppe Grillo hanno visioni opposte sul futuro del lavoro

next