Il 26% degli italiani quest’anno ha scelto di tagliare il budget delle feste. Secondo un’indagine condotta dall’Osservatorio Findomestic-Doxa le tredicesime (35,6 miliardi) se ne andranno soprattutto in rincari Imu, Tasi e Rc auto. “Per scopi più piacevoli restano 5,4 miliardi, che potranno essere utilizzati per cenone, regali, qualche viaggio, qualcosa da mettere da parte”, spiega Elio Lannutti, presidente onorario di Adusbef. In ogni caso secondo l’Osservatorio Compass (gruppo Mediobanca) il budget massimo di spesa natalizia per il 39% circa degli italiani sarà di duecentocinquanta euro. “Appena il 3% dichiara di voler spendere più di 1.000 euro e di questi uno su quattro ricorrerà a formule di finanziamento per dilazionare le spese”, spiegano gli esperti della banca milanese. Anche a dispetto del fatto che la tendenza generale nell’arco dell’anno è di un costante aumento dei prestiti per i piccoli e medi acquisti. E questo nonostante le evidenze riportate anche da Bankitalia sui contratti di finanziamento che non sono sempre un campione di trasparenza. Anzi. E intanto a Natale fra gli italiani ci sarà anche chi rinuncerà al prestito (76% secondo un sondaggio tra i lettori di Facile.it e Prestiti.it ) proprio per evitare di fare troppi debiti (il 16%). Senza contare chi, vittima della precarietà, non avrà altra scelta che far ricorso al Monte di pietà.

L’industria del credito al consumo festeggia – Mentre banche e finanziarie potranno con ogni probabilità chiudere l’anno con un piatto più ricco: la crescita del mercato ha del resto già registrato un miglioramento (+8,6% rispetto allo scorso anno e +31,8% rispetto al 2015 secondo Compass) attestandosi a 9,8 miliardi di euro. Così, secondo Findomestic, il 2017 si chiuderà con una crescita del mercato dei prestiti pari a circa il 10%, in linea con il dato consolidato di ottobre diffuso da Assofin. Per Bankitalia il merito di questa tendenza è della flessione dei tassi (Taeg) che a marzo erano scesi all’8,1% pur mantenendo un divario di due punti circa rispetto alla media dell’area euro. Gli italiani fanno quindi sempre più prestiti. “Oggi il 99% dei nostri connazionali conosce almeno una forma di credito al consumo”, spiegano fonti Findomestic che evidenziano come il credito è utilizzato soprattutto per elettrodomestici ed elettronica, auto e mobili. Inoltre è sfruttato anche per ristrutturare casa e per l’efficientamento energetico della propria abitazione nell’intento di sfruttare a pieno i bonus concessi dal governo. “Rispetto al passato è cambiato anche il motivo per cui si ricorre al prestito: oltre al denaro chiesto per comprare computer, droni e smartphone è sempre più frequente la richiesta di finanziamenti per curarsi vista la lentezza e le lacune del sistema sanitario nazionale”, precisano dall’associazione dei consumatori Codacons. Un trend, quest’ultimo, confermato anche dagli operatori di settore: “Il 68% delle persone avrebbe rinunciato ad un acquisto programmato, se non avesse potuto disporre di un finanziamento”, conclude Findomestic.

Restano le problematiche di poca trasparenza nei contratti – Nonostante il mercato cresca a doppia cifra, “le modalità di erogazione di tali prestiti sono spesso caratterizzate da scarsa trasparenza delle condizioni contrattuali”, come riferisce Bankitalia nella relazione annuale 2016. Inoltre si registrano “comportamenti degli intermediari poco attenti alle effettive esigenze finanziarie del cliente: nel 2016 la cessione del quinto è stata oggetto di 15.297 ricorsi all’Arbitro Bancario Finanziario, circa il 70 per cento del totale”, si legge nel documento. La questione è ben nota alle associazioni dei consumatori che invitano a leggere bene la documentazione prima della firma e a chiedere eventualmente consulenza ad un terzo soggetto indipendente. “I contratti sono di difficile interpretazione soprattutto nella parte che riguarda il costo effettivo del finanziamento che spesso include anche una commissione per istruire la pratica – proseguono dal Codacons – Prima di firmare, meglio valutare bene il contratto e tenere presente che in genere più rapidamente viene concesso il prestito, più alti sono i costi del finanziamento”. Senza contare che il costo “occulto” è sempre dietro l’angolo. Può accadere, ad esempio, che a latere del finanziamento venga anche pretesa la sottoscrizione di una polizza assicurativa oppure si stabilisca a favore dell’intermediario la possibilità di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali, con in prospettiva un potenziale aggravio di spesa per il debitore. Ad ogni modo, anche dopo la firma del contratto, non bisogna dimenticare che ci sono sempre a disposizione 14 giorni per cambiare idea e recedere senza penali. A patto di inviare una raccomandata con ricevuta di ritorno e restituire naturalmente il denaro eventualmente ricevuto. Occhio quindi alle condizioni di contratto, se non si vuole rischiare di trovare una brutta sorpresa sotto l’albero. E soprattutto ad evitare di caricarsi di troppe nuove rate per il 2018.

Il debito delle famiglie italiane cresce – Al momento il livello di indebitamento delle famiglie resta ancora sotto controllo ed è più basso rispetto alla media dell’Unione (10,7% contro 12,2%). Tuttavia è indubbio che i debiti privati aumentano come rileva la mappa del credito di Crif per il primo semestre 2017. Oggi oltre un terzo della popolazione (il 35,4%) ha ormai sulle spalle un prestito o un mutuo (+4,1% rispetto ad un anno fa) e deve pagare una rata media da 356 euro mensili su un debito residuo medio da 34mila euro. Solo un contratto su quattro riguarda però un mutuo acceso per l’acquisto della casa, il resto è credito al consumo e cessione del quinto dello stipendio. Con differenze importanti fra i grandi e i piccoli centri. Nei capoluoghi, tra i cittadini più indebitati ci sono i milanesi con il 39,5% della popolazione che ha un debito da ripagare, per un importo medio pro-capite da 52.139 euro e una rata mensile da 428 euro. Seguono i romani (il 41% della popolazione) con 48.295 euro di finanziamento da restituire e una rata da 398 euro. Molto meno popolari i debiti tra gli abitanti del Trentino Alto Adige (solo il 18% ha rate da pagare) con un fardello pro-capite da 40.817 euro. Le rate da pagare non mancano comunque in tutta Italia, ma sono sotto stretto controllo degli operatori del settore visto che negli anni scorsi anche “gli intermediari finanziari hanno svolto un vaglio più attento della clientela, la cui rischiosità è sensibilmente diminuita”, secondo quanto riferisce Bankitalia nella relazione annuale. Nel credito al consumo, infatti, la regola è ormai la richiesta della busta paga o del cedolino della pensione che prova l’effettiva capacità del debitore di restituire il dovuto.

Ai precari resta il Monte di pietà – Rispetto al passato, sono stati quindi tagliati fuori tutti quelli che non offrono sufficienti garanzie di restituzione del denaro prestato. Magari perché lavorano con contratti occasionali. Per loro l’unica strada per finanziarsi in tempi stretti resta il Monte di pietà, che però pratica generalmente tassi più elevati rispetto al credito al consumo (circa l’11,6% più spese di custodia contro una media dell’8,7% commissioni escluse) e richiede in garanzia il bene oggetto del pegno. “Complice la stretta del credito, al banco di pietà sono tornate famiglie, imprese e commercianti. E’ l’ultima spiaggia per finanziarsi velocemente, spiega segretario regionale Lazio Uilca, Paolo Battisti. Si tratta di un business vicino al miliardo di euro l’anno con 33mila microprestiti erogati al mese per importi che sono mediamente attorno ai mille euro, ma che possono toccare picchi fino a 200-300mila euro. Per gli operatori è un settore che offre rischi contenuti per via della garanzia reale del bene che resta in mano al Monte di pietà. Per questo fa gola all’estero. Prova ne è che Unicredit, uno dei principali operatori del settore in Italia, non ha fatto fatica a trovare un compratore per le sue 35 filiali con oltre 200 milioni di impieghi. Si è fatta avanti la casa d’aste austriaca Dorotheum offrendo 141 milioni. “Siamo molto preoccupati dall’impatto sociale di questa operazione – conclude Battisti – Non ne capiamo la logica visto che è un business senza rischi per la banca. Appena il 5% dei pegni non viene riscattato e viene venduto all’asta. Inoltre il ricavato dell’eventuale vendita supera spesso il valore del prestito più gli interessi e la differenza positiva viene riversata al proprietario”. Senza contare che il riscatto è un affare non da poco: gli interessi sono elevati e il capitale dato in prestito è garantito dal gioiello lasciato in pegno. “Insomma, il Monte di Pietà resta un riferimento per gli italiani in cerca di credito”, conclude il sindacalista. E, purtroppo, non solo a Natale.

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