“La mia è la storia di una figlia adottiva che non sapeva di esserlo”. Emilia Rosati è nata a Napoli, 65 anni fa, da “madre che non consente di essere nominata”. “Negli anni ’50 essere figli adottivi era un tabù. L’ho scoperto per caso guardando dei documenti ospedalieri relativi a un ricovero di mia madre in ospedale”. Insieme ad Anna Arecchia, Emilia è l’anima del Comitato nazionale per il diritto alla conoscenza delle origini biologiche. “Con l’età, ho sentito sempre più impellente il bisogno di conoscere le mie origini: mi sentivo una persona incompleta, una monade. Ho avuto un’adozione felicissima, sono stata molto amata dai miei genitori adottivi e li ho molto amati. Ciò non toglie che qualsiasi essere umano ha la necessità esistenziale di sapere a che cosa è collegato e a chi”.

Alla ricerca delle origini, Emilia ha scoperto che “i documenti relativi alla nascita di donna che non vuole essere nominata” possono essere visibili solo dopo 100 anni dal parto. “Per vie traverse, facendo come non si dovrebbe fare ma si fa, sono riuscita a sapere chi fosse mia madre. Purtroppo sono riuscita troppo tardi: era morta. Ma conoscere i miei fratelli è stato uno dei momenti più belli della mia vita”. Emilia Rosati ha raccontato la sua storia in un romanzo, “Frammenti ricomposti. Storia d’amore e di giustizia”. “Ma ancora prima avevo collaborato ad un saggio che si chiama ‘Il parto anonimo’: quello che si può considerare il manuale più completo che esiste al momento perché tratta la parte giuridica, la parte filosofica e psicologica e la parte politica e sociale”. Coautrici sono Stefania Stefanelli, e Anna Arecchia, presidente del Comitato nazionale per il diritto alle origini biologiche.

Anche Anna è stata adottata. Anche Anna è andata alla ricerca delle sue origini. “Per rabbia, e per ragioni di salute“. Nel 2008 “ci siamo costituiti come comitato nazionale e ci siamo fatti portavoce di 400mila cittadini che dagli anni ’30 ad oggi reclamano il loro diritto all’identità personale, a conoscere la parte mancante di loro stessi”, racconta Anna. “C’è un disegno di legge approvato alla Camera e arenato in commissione bilancio al Senato, che modifica le disposizioni sull’accesso alle informazioni sulle origini del figlio non riconosciuto alla nascita”, spiega. “Supportato sostanzialmente da una sentenza del 2013 della Corte Costituzionale”. “Sta per finire l’ennesima legislatura senza che il Parlamento si degni veramente di capire che ci sono 400mila cittadini viventi che hanno diritto alle loro origini”, chiosa Emilia Rosati. A questo punto la battaglia è rimandata alla prossima legislatura. Il punto, dice Arecchia, è il “forte scontro ideologico”: una “parte del Pd afferma che bisogna tutelare l’autodeterminazione della donna. Purtroppo ci sono grossi fraintesi in merito, in quanto l’autodeterminazione verrebbe comunque tutelata. Questo disegno di legge, la stessa sentenza della corte costituzionale e tutto ciò che è stato sancito finora in merito riconosce ancora una volta la possibilità per la madre di dire un’ultima parola. Nella più totale privacy avviene l’interpello e nella più totale della privacy la madre può ancora oggi decidere se rimuovere o meno l’anonimato”

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