Centonovantratre persone indicate dalla Direziona nazionale antimafia come iscritti in procedimenti penali fanno parte della massoneria. Ed è consistente il numero di soggetti che, pur non indagati, imputati o condannati per delitti di natura mafiosa, hanno collegamenti diretti con esponenti della mafia e possono costituire un anello di collegamento tra mafia e massoneria. A scriverlo è Rosy Bindi, nella relazione della commissione Antimafia sulla massoneria presentata a Palazzo San Macuto. Mesi di audizioni, indagini e ispezioni culminate con il sequestro degli elenchi delle logge  per scrivere oggi che “esiste un interesse delle associazioni mafiose verso la massoneria fino a lasciare ritenere a taluno che le due entità siano divenute una cosa sola. Ciò non significa criminalizzare le obbedienze”. L’Antimafia si chiede però se le logge siano “dotate di anticorpi“. Anche perché con “il sequestro non è stato possibile venire in possesso degli elenchi effettivi degli iscritti perché presso le sedi ufficiali forse neanche ci sono” e comunque “non consentono di conoscere un’alta percentuale di iscritti, occulti grazie a generalità incomplete, inconsistenti o generiche. Il vincolo di solidarietà tra fratelli consente il dialogo tra esponenti mafiosi e chi amministra la giustizia, legittima richieste di intervento per mutare il corso dei processi e impone il silenzio” come emerge “in un caso di estrema gravità“.

“Arrendevolezza nei confronti della mafia” – Il tema del rapporto tra mafia e massoneria, spiega la relazione, “affiora in modo ricorrente nelle inchieste giudiziarie degli ultimi decenni, con una intensificazione nei tempi più recenti in connessione sia con vicende criminali tipicamente mafiose, soprattutto in Sicilia e in Calabria, sia con vicende legate a fenomeni di condizionamento dell’azione dei pubblici poteri a sfondo di corruzione. Cosa Nostra siciliana e la ‘ndrangheta calabrese da tempo immemorabile e costantemente fino ai nostri giorni nutrono e coltivano un accentuato interesse nei confronti della massoneria. Da parte delle associazioni massoniche si è registrata una sorta di arrendevolezza nei confronti della mafia. Sono i casi, certamente i più ricorrenti, in cui si riscontra una forma di mera tolleranza ch si rivelano i più preoccupanti”.  In tal senso sono indizi che il rapporto tra la massoneria e la mafia “si sia verificato anche nella stagione delle stragi, ci sono segnali inquietanti“.

“A Castelvetrano 4 assessori su 5 iscritti a logge” – I commissari spiegano che l’argomento è emerso con particolare rilevanza in occasione della missione effettuata a Palermo e a Trapani dalla stessa Commissione nel luglio 2016. “In quell’occasione è stato ripetutamente affrontato il tema del rapporto tra Cosa nostra e la massoneria in Sicilia anche in relazione alla vicenda dell’appartenenza a logge massoniche di alcuni assessori del comune di Castelvetrano (Tp) luogo di origine del noto latitante Matteo Messina Denaro”. Nel documento si ricorda che attualmente nel trapanese sono presenti 200 “fine pena” già detenuti per reati di mafia e di traffico di stupefacenti che, scontata la pena, ora sono in stato di libertà. Nel comune di Castelvetrano esistono 6 logge massoniche su 19 che operano nell’intera provincia di Trapani e nell’amministrazione comunale della cittadina, nel 2016, 4 su 5 assessori erano iscritti alla massoneria e 7 su 30 tra i consiglieri. Nella relazione si evidenzia anche che i fatti di Castelvetrano fanno il paio con le indagini delle autorità siciliana e calabrese, queste ultime sfociate nei procedimenti “morgana mammasantissima e Saggezza. In tutti i casi si evidenziano recenti episodi di infiltrazione mafiosa nella massoneria e si attualizzano gravi fatti del passato “che lasciavano supporre l’esistenza delle infiltrazioni di Cosa nostra e della ‘ndrangheta nella massoneria”.

“Mafia nel settore bancario” – Sempre nella zona occidentale della Sicilia il fenomeno dell’infiltrazione mafiosa ha di recente registrato “una significativa manifestazione all’interno del settore bancario“. Nel trapanese, infatti, è stata sottoposta ad amministrazione giudiziaria la Banca di credito cooperativo di Paceco “Senatore Pietro Grammatico”. Negli atti giudiziari si riporta che all’interno dell’istituto c’erano 326 persone con evidenze giudiziarie, undici delle quali, dipendenti della banca, collegate con la criminalità organizzata. Dalle verifiche della Commissione antimafia, emerge che 11 tra esponenti della dirigenza aziendale e dipendenti hanno fatto parte di una loggia massonica del Goi.

“In Calabria coincidenza tra logge e sanità” –  C’è poi una coincidenza tra i nominativi presenti nelle relazioni di scioglimento o di commissariamento di alcuni enti pubblici, di alcune Asl o di banche e la loro presenza in alcune logge. “Questo – si legge nel documento – si evidenzia soprattutto a Castelvetrano, nella Asl n9 di Locri (commissariata) e nella Asp Cosenza. In particolare, nella Asl n.9 di Locri è stata evidenziata la presenza all’interno dell’azienda sanitaria di personale, medico e non, legato da stretti vincoli di parentela con elementi di spicco della criminalità locale o interessati da precedenti di polizia giudiziaria per reati comunque riconducibili ai consolidati interessi mafiosi“. Fra i soggetti a vario titolo menzionati nella relazione della commissione di accesso e nell’ordinanza di custodia cautelare del Tribunale di Reggio Calabria, figurano 306 nominativi; di questi, 17 sono censiti in logge massoniche. Incrociando i dati, “deve ritenersi non occasionale, la significativa presenza di massoni in posti apicali dell’azienda sanitaria”, scrive Bindi. Per quanto riguarda la Asp di Cosenza – che nel 2013 ha avuto un accesso ispettivo ma non è stata poi commissariata – su 220 nominativi individuati presenti a vario titolo nella relazione conclusiva della Commissione di accesso, 23 persone risultano iscritte a logge massoniche”.

Il pentito Campanella: “Da logge informazioni a mafia” – Nella relazione la Bindi riporta anche le dichiarazione di un pentito eccellente di Cosa nostra siciliana: Francesco Campanella, originario di Villabate, in provincia di Palermo, già consigliere comunale vicino a uomini come Salvatore Cuffaro e Clemente Mastella. Campanella è l’uomo che aiutò a falsificare la carta d’identità del boss Bernardo Provenzano, poi usata dal superlatitante per andare in Francia e sottoporsi a un’operazione chirurgica. “C’erano persone importanti che determinavano gestione di potere come pubblici funzionari, avvocati, notai, magistrati la massoneria aveva importanza nella città di Palermo in termini di potere economico, politico, decisionale, quindi aveva senso che io stessi anche all’interno di questa organizzazione”, ha detto il collaboratore di giustizia nel verbarle riportato nella relazione conclusiva della commissione. “Campanella sin da giovane si era dedicato alla politica, alla massoneria – si ricorda nel documento -, aderendo alla loggia palermitana del Goi Triquetra, ma anche alla mafia, ponendosi al servizio del noto capomafia Nicola Mandala il quale, per un certo periodo, curò la latitanza di Bernardo Provenzano. La contemporanea adesione, quasi contestuale temporalmente (fine anni ’90), alle due diverse associazioni, non era osteggiata nè dall’una nè dell’altra parte. Mandala, infatti aveva ritenuto che potesse essere: una cosa interessante e che … sarebbe potuta tornare utile in qualche maniera. Utilità, in effetti, giunte all’occorrenza. Attraverso i fratelli a lui più vicini, infatti, aveva acquisto informazioni utili dai Monopoli di Stato per la gestione delle sale Bingo (facente capo all’associazione mafiosa) nel momento più delicato in cui era intervenuto l’arresto di Mandala, e si temeva che tali esercizi potessero essere sequestrati”. Le sue dichiarazioni confermano – conclude l’Antimafia -, innanzitutto che l’appartenenza alla massoneria crea un vincolo esclusivo e permanente, che,” come avviene in Cosa nostra, si dissolve solo con la morte”.

“Riformare legge Anselmi” – È per questo motivo che alla fine della relazione la commissione di Palazzo San Macuto formula alcune richieste. Un esempio? “Una norma che vieti la segretezza di tutte le formazioni sociali, massoniche e non, che celino la loro essenza non potrebbe ritenersi discriminatoria e nemmeno persecutoria nei confronti della massoneria, come più volte paventato dalla stessa”. L’Antimafia suggerisce di estendere ad alcune categorie – magistrati, militari di carriera in servizio attivo, funzionari ed agenti di polizia, rappresentanti consolari all’estero – oltre all’iscrizione ai partiti politici, già previsto, anche “il divieto ad aderire ad associazioni che richiedano, per l’adesione, la prestazione di un giuramento che contrasti con i doveri d’ufficio o impongano vincoli di subordinazione”, cosa che si oppone alla fedeltà assoluta alle istituzioni repubblicane. Infine la relazione dell’Antimafia evidenzia come la legge Spadolini-Anselmi “non ha offerto uno strumento adeguato” nemmeno per perseguire quanto prevede all’articolo 2, dove si dice che “chiunque promuove o dirige un’associazione segreta o svolge attività di proselitismo a favore della stessa è punito con la reclusione da uno a cinque anni. La condanna importa la interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Chiunque partecipa ad un’associazione segreta è punito con la reclusione fino a due anni. La condanna importa l’interdizione per un anno dai pubblici uffici”.

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