Ricorre quest’anno il 150esimo anniversario della nascita di Luigi Pirandello (1867-1936), in occasione del quale a Roma è stata allestita una mostra su due sedi: la casa dello scrittore, oggi museo, in via Antonio Bosio, e la limonaia di Villa Torlonia. Il materiale esposto è abbastanza interessante e include, il diploma del premio Nobel, oggetti d’epoca, vestiti, fotografie, e alcuni quadri che Pirandello aveva dipinto.

Mi ha colpito la scarsità del materiale documentale ed esplicativo sull’adesione di Pirandello al fascismo: evidentemente i curatori della mostra non volevano troppo addentrarsi in un discorso politicamente delicato. Peccato perché questo episodio avrebbe meritato un’analisi.

Luigi Pirandello aderì al Fascismo con una lettera scritta direttamente a Benito Mussolini nel 1924, all’indomani del delitto Matteotti. Per il regime, l’adesione di Pirandello fu importante perché avvenne in un momento delicato nel quale il consenso vacillava e, dopo il successo elettorale, il Fascismo si rivelava tanto brutale quanto lo era stato in precedenza. Mussolini anziché garantire l’ordine, come si era sperato, lo turbava. L’adesione di Pirandello al Fascismo è stata studiata da molti storici e critici e molti aneddoti sono stati riportati in merito. Certamente Pirandello era disgustato dalla corruzione del regime parlamentare giolittiano; in occasione dello scandalo della Banca Romana aveva scritto il famoso brano Piove fango dai cieli d’Italia. Pirandello aveva sperato che il Fascismo ponesse rimedio alla corruzione del paese, speranza vana come poi si dimostrò. Inoltre, Pirandello sperava che il Fascismo desse supporto economico all’arte, in particolare al teatro.

Leonardo Sciascia nel saggio Pirandello e la Sicilia ripercorre faticosamente questo periodo della vita di Pirandello, rilevando come l’arte di Pirandello male si attagliasse all’estetica fascista, e come nonostante tutti i suoi sforzi, Pirandello risultasse alquanto malvisto dal regime, che ne sfruttava la celebrità ma non ne capiva la profondità. Alla fine della vita, dopo il Nobel che Pirandello conseguì due anni prima della morte, in uno scambio di idee con un giovanissimo Indro Montanelli, Pirandello commentò che il Fascismo era un “tubo vuoto che chiunque poteva riempire con i contenuti che preferiva e che doveva il suo successo alla sua vuotezza. E certamente questo giudizio dettato dalla vecchiaia e dalla delusione delle aspettative di una vita appare ben più misurato dell’entusiastica adesione di dodici anni prima.

Pirandello fu il narratore di un’ambiguità consapevole e responsabile, che deriva dal riconoscere le possibili alternative come ugualmente valide e dal rifiutarsi di sceglierne una escludendone un’altra. La sua visione della vita era antitetica al semplicismo populista del Fascismo: l’alleanza tra Pirandello e il Fascismo era implausibile e come è stato argutamente affermato, fu fascista l’uomo, ma non la sua opera.

L’anniversario della nascita di Pirandello è una eccellente occasione non solo per visitare la mostra, ma anche per rileggere questo autore e la sua storia complessa, soprattutto in un momento nel quale di nuovo piove fango dai cieli d’Italia (se mai ha smesso in passato).

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