L’ha ridetto e questa volta fissando gli imprenditori: “Presenteremo la squadra dei ministri prima del voto”. Perché va bene il vecchio mantra M5s “uno vale uno”, ma ora “uno non vale l’altro”: “La differenza del nostro progetto la faranno le persone”. Milano, vigilia delle feste e praticamente antivigilia delle elezioni. Luigi Di Maio parla davanti alle facce in giacca e cravatta che, dicono, rappresentano il polmone produttivo del Paese, e ostenta disinvoltura. O almeno ci prova. Dice pure che serve un storytelling dell’Italia e nessuno lo prende a male parole per la citazione renziana. Nel giorno della chiusura del tour lombardo-veneto, come lo chiamano tra loro manco fosse una guerra (e ci manca poco), il leader M5s parla di turismo. Presenta uno dei capitoli del programma che più dovrebbe contraddistinguere i 5 stelle e annuncia: “Noi vogliamo istituire il ministero del Turismo”. Un ritorno per un’istituzione che lui dice centrale e per la quale stanno già cercando i volti migliori. In sala in tanti cercano di incrociare il suo sguardo, qualcuno addirittura chiede un incontro privato mentre Di Maio va in bagno, “giusto per rubargli due minuti”. Il candidato più probabile resta però quello seduto al suo fianco tra i relatori: il deputato Mattia Fantinati, veneto ed ex piccolo imprenditore che ha seguito tutto il dossier. Lui ci scherza sopra: “Eeeh figuriamoci, volete già il nome…”. Il terrore, pure per lui, è quello di essere impallinati prima del tempo per quelle che sono sicuramente le cariche più ambite dentro e fuori il Movimento. La selezione delle facce per l’esecutivo è in corso: argomento segretissimo, materia da non buttare in pasto alla stampa. Ma che procede a microfoni spenti e cerca di arrivare in ogni ambiente, specie nel mondo delle aziende del Nord. Il fantasma è sempre lo stesso: si chiama giunta Raggi con le sue dimissioni continue e una squadra che dopo il voto non era pronta. Questa volta non può succedere.

In platea siedono gli invitati, quelli che rappresentano il mondo del turismo in Italia da Airbnb a Booking al creatore del robot Paolo Pepper, e tra loro spunta pure il direttore generale del Mibact Francesco Palumbo. “E’ il governo che viene a imparare dai 5 stelle”, ridono nei corridoi. Lui ci tiene a sottolineare: “Sono qui in veste ufficiale, mi hanno invitato loro”. Tutto vero, ma per chi è accusato di essere eversivo è un segno di capacità di stare ai tavoli che tutti ci tengono a sottolineare. Sfondare al nord è l’impresa mai riuscita finora e su cui Di Maio e i suoi stanno puntando tutto. In fondo alla sala ascoltano gli attivisti storici del Movimento a Milano, gente che è stata chiamata per dare una mano con l’organizzazione dell’evento e che ora sta a guardare cosa succede. “E pensare dove siamo partiti”. Dicono di essere orgogliosi e non di farsela sotto per questo cambio d’abito del Movimento. Anche se non sono tutti d’accordo e i malumori per quello che è un cambio radicale rimangono. “Noi vigiliamo sempre“. Di Maio intanto da settimane gira la Lombardia scortato da due lombardi che a controllare il territorio hanno imparato presto: i regionali Stefano Buffagni e Dario Violi. Gli occhi saranno tutti concentrati da quelle parti. Carmine per dire, uno che è un attivista dai mille banchetti fin da tempi insospettabili, dice che “qualche effetto si è già visto”: “Noi facciamo fatica in una certa fascia benestante e l’unica strada per riuscire a convincerli è fare come sta facendo Luigi: andare a incontrarli e guardarli negli occhi. Qualcuno mai visto prima ora viene a chiederci informazioni”. Tiziano continua: “Non dobbiamo limitarci ai giovani e ai nostri elettori tradizionali, dobbiamo parlare a tutti. Non abbiamo scelta”. L’obiettivo minimo per vincere, sostengono, è superare il 20 per cento in zona Milano e non sarà facile. Oggi Di Maio parla davanti a una sala piena di gente che conta nel settore. Non è la prima volta che il leader M5s si rivolge a questo tipo di platea. “Sono gli stakeholder”. Dicono i grillini con quel linguaggio preso un po’ alle aziende e un po’ a Davide Casaleggio. Proprio lui, il figlio del cofondatore M5s, è il grande regista della “milanesizzazione” del Movimento. Quella parola che i 5 stelle dicono senza poi volersela sentir dire perché suona male e preoccupa, ma è anche l’unica strada.

Solo ieri Di Maio ha detto che se andassero a votare per un referendum sull’Euro, sarà pure un extrema ratio per lui, ma comunque voterebbe per l’uscita. Non proprio una frase da moderato. Tanto che oggi davanti agli imprenditori cerca di riprendersi le vesti del politico tiepido che sa che non può fare azzardi. Imprese, forza lavoro, costo della manodopera, made in Italy: le parole chiave le dice tutte e sono sempre rivolte a confortare i suoi uditori. “Siamo la seconda forza manifatturiera d’Europa. Possiamo diventare la prima se mettiamo mano ai fondamentali economici”. Quindi l’appello per le imprese appunto: “Servono misure economiche immediate per permettere alle nostre imprese di essere più forti. Abbiamo bisogno di colmare le disparità sociali e non dobbiamo prendere soldi da chi ha soldi, ma dobbiamo attingere dalla spesa improduttiva. Dobbiamo cominciare a fare come Spagna e Francia che hanno sforato alcuni parametri europei, ma con la credibilità che li ha contraddistinti”. E qui scocca l’applauso in sala. A uno scappa pure un “bravo”. Cose inimmaginabili fino a qualche tempo fa. Di Maio osa dire pure che bisogna “tornare a occuparsi del mezzogiorno”. Ma si corregge subito in chiave nordica: “Oggi l’Italia è diventata il meridione dell’Unione europea. Dobbiamo individuare dei poli di investimento. Guardiamo la Spagna che ha superato i parametri di Maastricht per abbassare il costo del lavoro. Facciamolo. Un dipendente che paghiamo 1300 euro quanto costa a un lavoratore oggi?”. Brusio in sala. Ha detto le parole magiche. Infine si rivolge all’Europa: “Perché diamo 20 miliardi di euro ogni anno all’Ue e ce ne danno indietro 12? A me sta anche bene ma dobbiamo essere ascoltati”. Ma sia ben chiaro, dice il Di Maio moderato: “Noi dobbiamo avere questa possibilità, ma con l’incontro e non con lo scontro. Senza strappi, senza rompere”. Quindi prima di chiudere il suo intervento glielo ridice agli imprenditori: “La differenza nostra la farà la squadra”. Che i 5 stelle presenteranno prima del voto. “Le persone fanno la differenza. Io sono convinto del valore uno vale uno, ma non uno vale l’altro. Ognuno ha la sua storia e le sue competenze e le mette a disposizione del progetto”. E’ quel governo dei migliori che Casaleggio teorizzava in tempi non sospetti. Ora lo ambiscono in tanti e non per forza tutti i volenterosi troveranno un posto. “C’è da stare attenti, il potere fa gola a troppi”, sussurrano in platea. Di Maio intanto è già partito di ritorno a sud, ma tornerà presto.

 

 

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