Aliquota dimezzata, dal 6 al 3%, e niente credito di imposta, meccanismo pensato per far salve le aziende italiane. Nella notte tra lunedì e martedì la commissione Bilancio della Camera ha approvato l’emendamento alla manovra del relatore Francesco Boccia (Pd) che modifica la formulazione della web tax introdotta nel passaggio al Senato. La tassa, di cui è stato promotore il senatore Pd Massimo Mucchetti, rimarrà applicabile solo alle transazioni digitali e non sarà allargata all’e commerce. Il gettito resta limitato, 190 milioni l’anno, comunque 76 milioni in più di quanto previsto con la versione precedente. E secondo Unimpresa “è una stretta fiscale che può colpire proprio le pmi” e di conseguenza “tradursi in un autogol per l’economia del nostro Paese”. Secondo Mucchetti “la norma colpisce in modo pesantissimo le imprese italiane del web dimezzando l’onere a carico delle multinazionali digitali, ammesso che a queste venga in concreto applicata l’imposta”.

Nella versione dell’emendamento approvato stanotte, la nuova imposta sarà prelevata con l’applicazione di una ritenuta da parte dell’acquirente e non più da parte della banca, che nella formulazione di Mucchetti avrebbe dovuto fare da sostituto di imposta. L’obbligo di versamento però scatta solo quando in un anno solare sono state effettuate almeno 3mila transazioni digitali. Scompare il limite relativo al valore delle compravendite, che la prima versione fissava ad almeno 1,5 milioni di euro. La base imponibile, si legge nella relazione tecnica, è stata valutata in 6,34 miliardi, tre volte quella (oltre 2 miliardi) della pubblicità online, in trend di crescita medio dell’8%. Alla pubblicità vanno infatti aggiunti gli altri servizi, che andranno individuati con un decreto del Tesoro entro aprile, compresi data analytics, cloud computing e sistemi di integrazione Ict.

“Attenzione ai pericoli di penalizzazione delle micro, piccole e medie imprese italiane con la web tax”, commenta il vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci. “L’introduzione di un prelievo aggiuntivo pari al 6% delle fee commerciali dei portali di vendita online finirà con l’essere traslato, sul piano fiscale, sul venditore italiano e, successivamente, anche sul consumatore italiano. Tutto ciò con inevitabili ripercussioni sui prezzi finali e pure sui fatturati delle nostre imprese”.

“Temo che, fidandosi del parere del governo, la commissione Bilancio della Camera non si sia accorta del gioco delle tre carte che le è stato somministrato a partire dall’interpretazione superficiale della relazione tecnica, che indica un gettito di 190 milioni invece dei 114 stimati per la norma approvata dal Senato”, aggiunge Mucchetti. “La norma colpisce in modo pesantissimo le imprese italiane del web dimezzando l’onere a carico delle multinazionali digitali, ammesso che a queste venga in concreto applicata l’imposta”. L’ex vicedirettore del Corriere contesta anche le valutazioni sul gettito contenute nella relazione tecnica: “La base informativa in entrambi i casi è il rapporto Assinform, ma per il Senato è stato usato il rapporto di marzo, mentre per la Camera quello di dicembre. Inoltre, per la Camera sono state eseguite proiezioni sugli andamenti futuri delle attività digitali al tasso dell’8% annuo che non erano state considerate nelle stime fatte per il Senato. Di più: per gonfiare la base imponibile, si sono inseriti i ricavi di attività digitali quali la Data Analytics, il Cloud Computing e i Sistemi di integrazione ICT. In tal modo, si è triplicato il contributo che deriva dai dati Agcom sulla pubblicità on line quando al Senato lo si era soltanto raddoppiato”.

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