Tra Venezia e Roma è scoppiata di nuovo la guerra sanitaria. Un paio di mesi fa il governatore Luca Zaia arrivò ai ferri corti con il ministro della salute Beatrice Lorenzin per l’obbligo di vaccinazione per tutti gli studenti under 16. Adesso la materia del contendere è l’inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche, meglio conosciute come Pfas o Pfoa, che costituisce una vera emergenza nelle province di Vicenza, Padova e Verona. Si tratta di composti chimici usati nell’industria per rendere i materiali resistenti all’acqua e ai grassi.

A partire lancia in resta è stato il ministro che qualche giorno fa ha dichiarato testualmente durante il question time alla Camera, in risposta a un’interrogazione di parlamentari veneti: “Il ricorso alla plasmaferesi è fortemente sconsigliato, si tratta di una terapia altamente invasiva e la Regione Veneto, prima di sottoporre le persone a tale trattamento, avrebbe dovuto procedere ad una preventiva sperimentazione”. Non aveva usato il fioretto, ma la scimitarra: “Non risultano evidenze scientifiche, né specifiche raccomandazioni in ordine alla possibilità di rimuovere i Pfas attraverso l’uso della plasmaferesi, anzi, le più recenti linee guida in materia non includono detti contaminanti tra gli agenti che possono essere rimossi con tale tecnica”. In conclusione, un’accusa pesante: “Il ministero della Salute e l’Istituto superiore di sanità non sono mai stai formalmente interessati dalla Regione Veneto circa l’utilizzo di questa terapia”.

A Venezia non sono rimasti a guardare, anche perché l’inquinamento da Pfas sta diventando piuttosto allarmante e tale da giustificare, lo scorso settembre, l’inoltro al presidente del consiglio Paolo Gentiloni di una richiesta firmata da Zaia di deliberare lo stato di emergenza, con lo scopo di ottenere lo sblocco di fondi statali per 80 milioni, per convogliare acqua non inquinata nella zone colpite. Innanzitutto Luca Zaia ha dichiarato: “Andremo a rilevare le vere dichiarazioni del ministro Lorenzin fatte in Parlamento, verificheremo parola per parola, risponderemo a quanto ha detto e ci tuteleremo se abbiamo avuto danni”. Insomma, è pronto alle vie legali.

La Regione ha convocato una conferenza stampa per illustrare i primi risultati dell’applicazione della plasmaferesi e dello scambio plasmatico, le due tecniche utilizzate per ridurre la presenza di Pfas e Pfoa nella popolazione. “Queste tecniche funzionano e sinora, con un centinaio di casi trattati, senza il verificarsi di effetti collaterali, hanno determinato una discesa media di presenza di inquinanti nel sangue pari al 35 per cento con la plasmaferesi, e del 68 per cento con lo scambio plasmatico”. Lo ha detto il direttore generale della sanità regionale, Domenico Mantoan, assieme alla responsabile della direzione regionale prevenzione, Francesca Russo, al direttore di Medicina Trasfusionale dell’Ulss 8 di Vicenza, Alberta Alghisi, e a Giustina De Silvestro, direttore del Dipartimento Interaziendale di Medicina Trasfusionale dell’Azienda Ospedaliera di Padova.

La plasmaferesi interviene rimuovendo piccole quantità di plasma dove si annida l’inquinante (in particolare nell’albumina) senza necessità di sostituzione visto che il volume sottratto è basso. La tecnica viene utilizzata nei casi meno gravi con concentrazioni fino a 200 nanogrammi per millilitro. Nei casi in cui la concentrazione sia superiore, invece, si effettua lo scambio plasmatico, con cui si rimuovono volumi più elevati di plasma. “Tutto è stato fatto in scienza, coscienza e prudenza, su basi tecniche ben definite. I risultati scientifici parlano chiaro sull’efficacia delle scelte fatte, con l’obiettivo di togliere il prima possibile dal sangue delle persone questi inquinanti, che hanno un tempo di dimezzamento naturale di 5 anni, il che significa un periodo di 20-25 anni per farli scomparire del tutto” ha spiegato Mantoan.

Che la tensione sia alle stelle lo dimostra anche il fatto che i carabinieri del Nas si siano presentati negli uffici della sanità regionale per acquisire documenti e atti relativi alla sperimentazione. Evidentemente è stato acceso un faro per accertare la regolarità delle procedure. “Siamo sorpresi – è la replica della Regione – perché tutto quanto riguarda la vicenda Pfas è stato via via reso noto con tempestività e trasparenza, inviato alle Istituzioni competenti e alla magistratura, e pubblicato sul sito web della Regione. Non occorreva scomodare i Nas, bastava ci chiedessero e avremmo inviato tutto senza alcun problema”. A Venezia si difendono dicendo che una delibera dello scorso giugno aveva dato il via agli interventi sanitari e che il Ministero ne era stato informato. E hanno esibito un parere del Comitato Regionale per la Bioetica, presieduto dal professor Massimo Rugge dell’Università di Padova, secondo cui “le procedure di plasmaferesi e scambio plasmatico finalizzate a ridurre la concentrazione di Pfas sono incluse tra quelle previste dalle Linee Guida Internazionali sull’uso dell’Aferesi nella pratica clinica per rimozione di sostanze tossiche”.

Però il ministro, prima di parlare, deve aver acquisito la documentazione scientifica a sostegno delle sue critiche. Anche per questo e per evitare guai o complicazioni, a Venezia hanno deciso, “come segnale di buona volontà, la sospensione dell’offerta di tale trattamento ai veneti contaminati dai Pfas, nella speranza che si possa effettuare velocemente un serio confronto, che sia esclusivamente tecnico-scientifico. Se la plasmaferesi non va bene, il Ministero dovrà indicarci quali altre procedure adottare per disintossicare i nostri cittadini”. Finora in Veneto sono stati sottoposte a plasmaferesi 70 persone, la metà delle quali hanno già concluso il ciclo completo di 6 sedute. L’inquinamento si è verificato a partire dagli anni Settanta, ma la denuncia dei danni alla salute pubblica è avvenuta solo nel 2013.

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