“Come posso chiedere ai nostri giovani di non soccombere ai violenti e di denunciare i bulli del web se poi io stessa non lo faccio? Mi sono fatta questa domanda prima di dire adesso basta. Ai nostri figli dobbiamo dimostrare che in uno Stato di diritto chiunque venga aggredito può difendersi attraverso le leggi. E senza aggiungere odio all’odio, ne abbiamo già abbastanza”. Sono parole che Laura Boldrini, presidente della Camera dei deputati, mi dice durante un incontro privato in una saletta di Montecitorio. Fin dal suo insediamento, la terza carica dello Stato è stata oggetto di una campagna denigratoria, creata e alimentata da chiari mandanti politici che hanno parlato alla pancia di una parte del paese.

E’ stata accusata di tutto: dall’essere “buonista” – parola oggi declinata a insulto – all’essere “favorevole all’invasione” del nostro Paese. Una occupazione portata avanti – secondo gli analisti del bar(…collo ma non mollo) – dai clandestini o, come li chiama Matteo Salvini con un neologismo degno dell’accademia della Birra, dalle “risorse boldriniane”. Cosa rara, poi, è che sulla Boldrini si sono costruite una quantità straordinaria di maldicenze e bufale che hanno toccato l’apice doloroso nell’aprile scorso. Una vetta raggiunta con la falsa notizia, messa in circolo su Facebook, che Lucia, sorella minore della presidente, gestiva “340 cooperative che si occupano di assistenza ai migranti”. Bugia amara perché “Lucia – spiegò la presidente – è morta da anni”.

Il problema di questo odio, che trova sfogo sui social, e della circolazione di notizie false è serio, serissimo. Lo è talmente tanto se pensiamo al rigurgito fascista che il bel paese sta sputando in questo periodo, con sedi di giornali prese di mira da camerati in maschera di carnevale. Ma qualcosa sta cambiando, almeno sul web. Proprio il “14 agosto scorso – continua la presidente – ho dato il via alla campagna #adessobasta che ha dimostrato come la rete sia in possesso degli anticorpi per difendersi dall’odio e dalla violenza. Il post che ho pubblicato nell’agosto scorso ha ricevuto sette milioni di visualizzazioni e decine di migliaia di commenti di solidarietà e di vicinanza”.

Se guardiamo sotto i post pubblicati sulla pagina Facebook e Twitter della Boldrini, notiamo che la tendenza dei commenti, prima offensivi, si è invertita. Basta fermarsi a leggere i commenti sui suoi profili social, soprattutto su Instagram. Dal maggio scorso, quando la presidente ha mostrato i commenti dei molestatori online con nomi e cognomi, annunciando allo stesso tempo che avrebbe denunciato i diffamatori, gli haters sono drasticamente diminuiti.

“I leoni da tastiera – sottolinea la Boldrini – si sono trasformati in conigli in fuga”. Bisogna far capire che “lo Stato c’è, e ci sono le leggi che tutelano chi viene offeso” conclude. Insomma, una piccola rivoluzione, portata avanti con coraggio. Il “caso Boldrini” dimostra che chi vuole inquinare i pozzi del web è in minoranza rispetto a chi intende vivere in uno spazio digitale pulito e sgombro da troll e professionisti dell’insulto.

Anche se siamo alle prese con la gestione del bar più grande al mondo, Facebook, che da spazio a ogni genere di clienti, ubriachi compresi. La sfida, che Laura Boldrini sta vincendo, è quella di far capire che le parole hanno un peso e una responsabilità. Anche se digitate da un Napalm51 di turno: nascosto dietro a una tastiera, leone sul web e pecora al supermercato.

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