Sei richieste di rinvio a giudizio e ventuno avvisi di chiusura delle indagini. Doppio giro di boa sul fronte dell’inchiesta Consip. La procura di Roma ha chiesto di processare sei persone per i presunti illeciti commessi nell’aggiudicazione dell’appalto da 1,6 milioni di euro per i servizi di pulizia negli istituti scolastici. È la gara ribattezza Scuole Belle e vede indagati titolari e responsabili legali delle società Consorzio Nazionale Servizi, Manutencoop e Roma Multiservizi spa.

Per loro l’accusa formulata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dai sostituto Mario Palazzi e Letizia Golfieri è la turbativa d’asta. Al centro dell’inchiesta i presunti accordi tra le tre società, attraverso scambi reciproci di informazioni, per l’aggiudicazione di otto dei tredici lotti di cui si componeva la gara per l’assegnazione dei lavori di pulizia nelle scuole. Sulla vicenda ha indagato la Guardia di Finanza dell’Antitrust, all’epoca guidata da Bruno Biagi, che, dopo aver individuato un “cartello” per condizionare la gara, trasmise gli atti in procura.

Il bando era suddiviso in 13 lotti geografici, per un totale di base d’asta di circa 1,63 miliardi di euro. Il criterio di aggiudicazione adottato era quello dell’offerta migliore e economicamente più vantaggiosa. Ebbene, al termine della gara, Ati 1 (di cui fa parte il Consorzio Nazionale Servizi) e Manutencoop sono risultati vincitori di quattro lotti ciascuno, che corrispondono alla totalità dell’Italia centro-settentrionale. Dove ha vinto Cns, Manutencoop non ha presentato offerta, mentre negli unici due lotti dove c’è stata sovrapposizione Cns ha presentato “un ribasso decisamente meno aggressivo rispetto a quello formulato altrove”. Una coincidenza? L’Antitrust ha stabilito di no. E nel 2015 infligge 110 milioni di euro di multa alle società. Nel frattempo la vicenda finisce agli atti della procura, alla quale arriva un parere di Raffaele Cantone che chiede espressamente di ricondurre nell’alveo delle ordinarie procedure di affidamento tutti i servizi appaltati: nel frattempo, infatti, il mega appalto era stato prorogato per ben quattro volte.

Per l’Anticorruzione c’era un  “accordo di cartello” anche fra tre imprese che parteciparono la maxi gara da 2,7 miliardi, bandita sempre dalla centrale acquisti della pubblica amministrazione. Una vicenda che è alla base dell’inchiesta della procura di Napoli poi finita a Roma per competenza, come rivelato da Marco Lillo sul Fatto Quotidiano del 21 dicembre 2016. Un anno dopo gli inquirenti capitolini hanno chiuso le indagini per ventuno tra titolari, collaboratori e dirigenti di 11 società: rischiano di finire sotto processo per turbativa d’asta nell’ambito dell’inchiesta sul mega appalto Fm4, per l’affidamento di servizi nella pubblica amministrazione. La procura di Roma ha chiuso le indagini e ha contestato agli indagati di aver creato un cartello per spartirsi i 18 lotti di appalti. Tra le persone che rischiano il processo ci anche i due imprenditori Alfredo Romeo e Ezio Bigotti.

Secondo gli inquirenti gli accordi tra le 11 società coinvolte, tra le quali Romeo Gestioni e Sti, evitavano di fatto la concorrenza e l’ingresso di altri competitors nel settore. Il tutto attraverso la presentazione di offerte concordate in maniera tale da non realizzare sovrapposizioni competitive sui singoli lotti di gara (le cosiddette offerte a scacchiera). Ma anche la presentazione di offerte finalizzate per ciascun lotto ad alterare le medie dei punteggi di gara (anche dette offerte di appoggio). Gli investigatori parlano poi di occultamento di centri codecisionali unici in relazione ai diversi offerenti, di condivisione occulta di informazioni e dati sensibili, di promesse di subappalti a soggetti economici appartenenti a gruppi concorrenti.

Proprio indagando su Romeo e sul maxi appalto da 2,7 miliardi l’inchiesta è arrivata ai vertici della centrale acquisti della pubblica amministrazione. Nel registro degli indagati sono finiti in poco tempo i nomi del padre dell’ex premier, Tiziano Renzi, e quello di Carlo Russo, accusati di traffico di influenze illecite. Già coinvolti nell’indagine erano invece il ministro dello Sport Luca Lotti, il comandante generale dell’Arma dei carabinieri Tullio Del Sette e il generale Emanuele Saltalamacchia, tutti indagati per la fuga di notizie che allertò, secondo gli inquirenti, i vertici centrale acquisiti per l’amministrazione pubblica delle indagini in corso, come raccontato e confermato dall’ex ad Luigi Marroni. Le soffiate sulle microspie piazzate nell’ufficio di Marroni neutralizzarono di fatto l’inchiesta sull’appalto più ricco d’Europa.

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