Anche un semplice like a un video che incita alla jihad può costituire un grave indizio di colpevolezza e giustificare la custodia cautelare in carcere per ‘apologia dello Stato Islamico‘. Così la Cassazione stringe le maglie su chi inneggia al terrorismo e fissa un nuovo punto fermo in materia. Lo fa accogliendo il ricorso della procura contro Gaffur Dibrani, un kosovaro di venticinque residente per 10 anni con la famiglia nel Bresciano, arrestato i primi di novembre del 2016 dalla Digos perché accusato di fare propaganda in rete. Occorre arginare chi fa proselitismo sul web, per questo la quinta sezione penale della Cassazione ha specificato che nel decidere sulla custodia cautelare i giudici devono ben tenere presente “il rischio effettivo della consumazione di altri reati derivanti dall’attività di propaganda“.

L’uomo, aveva diffuso sul suo profilo Facebook due video inneggianti allo Stato Islamico e per questo era stato arrestato e poi espulso su provvedimento del ministero dell’Interno. Per due volte, il riesame di Brescia aveva ritenuto non sufficienti gli indizi a carico del venticinquenne kosovaro, nonostante un primo pronunciamento dei giudici del Palazzaccio contrario alla decisione.

Nei due video, ritenuti dalla procura e del gup di Brescia di “natura apolegetica e propagandistica dello Stato Islamico“, un combattente predica l’unione dei fratelli per aiutare la Siria, ‘pregando perché Allah lo accetti come martire’ e si inneggia ai mujahideen ‘caduti per proteggere i musulmani nella guerra contro i nemici di Allah’. Il tribunale del riesame, nell’annullare il provvedimento cautelare, ha insistito nel sostenere che dalle indagini non emergono elementi inequivoci per dire che l’uomo “volesse riferirsi a proprio all’associazione terroristica denominata Isis“, dal momento che questa rappresenta solo uno dei soggetti partecipanti al conflitto siriano. Non è d’accordo la Cassazione che, nella sentenza 55418 depositata oggi, sottolinea che “è pacifico” che Dibrani “abbia inneggiato apertamente allo Stato islamico ed alle sue gesta e ai suoi simboli”. E che i giudici del riesame “non hanno tenuto conto dei contatti” del giovane “con altri soggetti già indagati per terrorismo islamico“.

Nell’escludere il reato di istigazione a delinquere infatti il riesame di Brescia “ha ridimensionato la portata apologetica” di due video diffusi da Dibrani,  spiega la Cassazione, “sul rilievo dell’asserita breve durata – ben 11 giorni – della condivisione degli stessi” e “della circostanza che uno dei due video sarebbe stato diffuso con la sola opzione ‘mi piace‘”. Ma questi, sottolinea la Cassazione, sono “elementi non certo idonei a ridurre la portata offensiva della sua condotta”, vista la “immodificata funzione propalatrice svolta in tale contesto dal social network Facebook“.

 

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