Lei denuncia un malcostume (“Li trovi al bar in orario di lavoro o tra le bancarelle del mercato”), loro la querelano perché si ritengono diffamati. Lei è una lettrice del quotidiano La Provincia di Cremona, loro sono 24 dirigenti del Comune. Il casus belli che ha portato i funzionari del municipio a costituirsi parte civile nel procedimento per diffamazione? Un lettera al giornale. Di sette anni fa. Nella quale si legge anche questo: “Non si vergognano dei premi” che vengono loro riconosciuti, visto che “hanno già lauti stipendi mensili”.

Tutto inizia tra il 19 e il 22 giugno 2010. Sul quotidiano viene pubblicato un articolo (“Pioggia d’oro sui dirigenti comunali”) che cita nomi e cognomi dei 24 con i relativi compensi. Dirigenti, quindi, “tutti individuabili”, seppur non citati nella missiva, secondo l’avvocato Massimiliano Cortellazzi, legale attraverso il quale hanno portato in tribunale l’autrice della lettera, comparsa su La Provincia tre giorni dopo.

La tesi che sostiene la querela per diffamazione trae spunto dalla parola “premi”. Non sarebbe corretto parlare di premi, secondo il legale, perché lo stipendio dei dirigenti comunali è composto da una parte fissa e da una variabile: lo stipendio tabellare previsto dal contratto nazionale e la retribuzione di posizione e risultato. Quest’ultima varia in funzione di ruolo, responsabilità, obiettivi raggiunti, dimensioni del settore amministrativo da gestire, numero di persone sottoposte. Di più: i dirigenti del Comune di Cremona percepirebbero stipendi vicini ai minimi contrattuali e spesso inferiore ai colleghi di comuni di simile grandezza.

L’indennità è quindi “lecita” e ciò che è stato affermato nella lettera, dice ancora Cortellazzi, è gravemente offensivo della reputazione. Scrivere “non si vergognano dei lauti stipendi mensili” lascerebbe intendere, a detta dell’avvocato di parte civile, che “non solo dovrebbero vergognarsi”, ma visto che non lo fanno “sono qualificabili come persone dalla dubbia moralità”. Ma l’autrice della lettera scrive pure: “Cosa fanno per meritarsi quei soldi?”. Ciò, puntualizza Cortellazzi, ingenera il “convincimento che i dirigenti percepiscano denaro senza esserselo guadagnato (il che equivale a dire che l’hanno rubato)”. Il caso è stato aggiornato dal giudice Letizia Platè ai primi di febbraio.

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