L’abbandono del ring da parte di Giuliano Pisapia giunge quasi alla stessa ora di un’altra significativa defezione: quella di Angelino Alfano, che ha deciso di non ricandidarsi. Le due decisioni, così apparentemente distanti, si tengono insieme e producono una prima verità: Matteo Renzi è destinato alla solitudine e il suo partito restituisce l’immagine di una formazione respingente. Perdere nello stesso giorno la sponda di sinistra e quella di destra significa che il declino elettorale del Pd nelle prossime settimane si accentuerà ancora di più.

Vuol dire che la capacità di manovra e di attrarre consensi da parte di Liberi e uguali, la neonata formazione di sinistra, è così netta e visibile da aver già prodotto una resa tra i suoi possibili competitori, quelli appunto del Campo progressista di Pisapia. Che infine la forza propulsiva del centrodestra sarà ancora più marcata perché, com’è prevedibile, raccoglierà le spoglie del partito di Alfano, Alternativa popolare, già sul punto di sfasciarsi di fronte al quesito: tornare ad Arcore col capo coperto di cenere ma con la prospettiva di tornare a vincere, oppure issare la bandiera dell’orgoglio e cascare a terra insieme al suo Pd?

C’è una quarta considerazione che bisogna fare: il Pd si avvia a essere la terza forza del Paese, dietro il centrodestra unito e ingrassato dai nuovi arrivi, e i Cinquestelle. E sebbene Renzi abbia i numeri per continuare ad avere la leadership, il suo partito, soprattutto i suoi eletti, quanta voglia hanno del martirio?

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