Roberto Napoletano è diventato un caso anche al Corriere della Sera. Le indagini della procura di Milano proseguiranno almeno per un paio di mesi. Ma intanto, a poco più di un anno dalla semestrale che annunciò un profondo rosso da 50 milioni di euro per il gruppo del Sole 24 Ore, le vicende dell’editrice di Confindustria e dell’ex collega pesano come un macino sul direttore del Corriere della Sera. Sono infatti piovute lettere di fuoco sul tavolo di Luciano Fontana, dopo che il quotidiano milanese lunedì 4 dicembre ha pubblicato una generosa recensione dell’ultimo libro dell’ex direttore del Sole 24 Ore senza menzionare l’inchiesta giudiziaria che insieme al giornale economico ne ha travolto anche il timoniere.

A prendere carta e penna per chiedere conto a Fontana della scelta editoriale sono stati innanzitutto i rappresentanti sindacali interni (Cdr) del Corriere, seguiti a stretto giro dai colleghi del Sole. Stupore è la parola chiave di entrambe le missive. Con i giornalisti del Corsera che si sorprendono di “tanto risalto, anche con un richiamo in prima pagina”, al libro di un giornalista che risulta coinvolto in un’inchiesta su come il Sole avrebbe gonfiato le vendite danneggiando concorrenti come lo stesso Corriere. I colleghi del quotidiano di Confindustria fresco di ricapitalizzazione che potrebbe cambiarne radicalmente le sorti, dal canto loro, sarebbero invece entrati nel merito del testo stesso il cui autore, da protagonista di crisi si fa analista di crisi.

Prima di spostarsi sul tavolo direttoriale, lo scontro era partito su Twitter. Nel mirino di alcuni giornalisti del Sole 24 Ore era finito direttamente Federico Fubini, il vicedirettore del Corriere autore dell’articolo pubblicato a pagina 10 del quotidiano sulla presentazione del libro Il Cigno nero e Il Cavaliere Bianco. Nel testo non viene mai citata l’inchiesta che vede Napoletano e gli ex vertici dell’editrice di Confindustria, Donatella Treu e Benito Benedini rispettivamente ex amministratore delegato ed ex presidente del gruppo, indagati nel filone dell’inchiesta del pm Gaetano Ruta per false comunicazioni sociali. I giornalisti del Sole nei tweet si sono quindi precipitati a ricordare non solo che Napoletano è indagato, ma anche che ha costituito un trust in cui ha allocato i suoi immobili. Dopo una serie di scambi infuocati e distinguo tra libro e inchiesta il vicedirettore del Corriere di via Solferino ha ammesso di aver sbagliato.

L’inchiesta penale, che è costituita anche dal filone sull’appropriazione indebita per il pasticcio delle copie digitali, è ancora in corso. Al lavoro sui documenti e soprattutto sui conti c’è un consulente nominato dalla Procura che nelle prossime settimane potrebbe depositare le conclusioni, ma all’attenzione della Procura c’è anche questo nuovo elemento che i giornalisti del Sole hanno voluto sottolineare. Il 19 maggio scorso, poco più di due mesi dopo l’iscrizione nel registro degli indagati Napoletano – uscito di scena lo scorso 7 agosto con una buonuscita da 700mila euro –  si è presentato dal notaio Fabrizio Branca di Napoli insieme a Rosa e Giuseppe Andrea Napoletano. Sul tavolo l’intestazione delle proprietà immobiliari del giornalista a un trust denominato GGR e regolato dalla legge di Jersey che lo stesso Napoletano aveva costituito a Nola e al momento dell’atto notarile era in corso di registrazione. Amministratore (trustee) e guardiano (protector) del “fondo” di cui beneficiano la moglie e il figlio, sono rispettivamente la sorella e il figlio del giornalista, Rosa e Giuseppe Andrea Napoletano, appunto.

È con il loro consenso che il giornalista, pur riservandosi il diritto di abitazione vitalizio, trasferisce al trust la metà di due appartamenti romani in via Montopoli rispettivamente di 7,5 e 12 vani (143 e 235 metri quadrati) di cui è proprietario. Della villetta all’Argentario – 4,5 vani con annessa corte ed area scoperta pertinenziale di 3.995 metri quadrati oltre ai vigneti e ai terreni agricoli, fresca di permesso a “costruire per ristrutturazione edilizia con addizione funzionale” – invece, possedeva “soltanto” l’usufrutto vitalizio di mezza proprietà che è stato trasferito al trust. L’ex direttore del Sole si è così privato di ogni diritto sulla casa delle vacanze che era stata acquistata esattamente due anni prima.

Un pessimo affare a giudicare dalle valutazioni registrate negli atti notarili, nonostante il recente permesso edilizio. A maggio del 2015 l’intera nuda proprietà della sola villetta era valutata 126mila euro su un totale di 420mila euro attribuiti all’immobile, mentre i terreni erano costati 80mila euro (24mila euro la nuda proprietà). E così la casa, con i vigneti e i campi, era passata di mano per 500mila euro. Acqua passata, anzi spazzata via, visto che nel passaggio al trust alla quota di immobile viene attributo un valore di 25.220 euro e ai terreni di 500 euro. Qualcosa di analogo, del resto, dev’essere successo anche con gli altri immobili conferiti al Trust – oltre a Roma e Porto Santo Stefano ci sono un monolocale a Napoli e metà fabbricato di 18,5 vani ad Amelia (Terni) – visto che, come si legge nell’atto, nonostante le dimensioni e la posizione, il valore complessivo di “quanto oggetto del conferimento” è di 329.456 euro. Segno evidente che la crisi del mattone è ben lungi dall’essere passata, come ben sa l’ex editore di Napoletano, Francesco Gaetano Caltagirone.

In quest’ottica vale la pena ricordare che nello schema rappresentativo di comportamenti anomali della legge antiriciclaggio così come riportato dall’Uif (Ufficio di Informazione Finanziaria) della Banca d’Italia vengono elencati alcuni fattori per le operazioni sospette: tra le altre sotto il profilo soggettivo “la presenza a vario titolo nel trust di soggetti che, in base alle informazioni disponibili, sono sottoposti a indagini” e la “coincidenza tra disponente e trustee (cd. trust autodichiarato) tra disponente e guardiano ovvero rapporti di sussistenza di rapporti di parentela o anche di lavoro subordinato fra gli stessi.

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