Mai così in alto, mai così in basso. Nella stessa giornata: l’Inter stravince sul Chievo, torna da sola in testa alla classifica e si prepara alla grande sfida di sabato prossimo contro la Juventus; il Milan regala lo storico primo punto in Serie A alla Cenerentola Benevento, subisce gol all’ultimo secondo dal portiere avversario, diventa quasi una barzelletta. Due facce della stessa medaglia della Milano calcistica, nella difficile transizione della nuova era cinese. Alla fine tra trionfo e disastro, la differenza la fa quasi solo l’allenatore. Riavvolgiamo il nastro alla scorsa estate. L’Inter bloccata dall’embargo di Pechino doveva rinunciare ai grandi acquisti e ripiegare sui vari Vecino e Skriniar, oggi eroi di San Siro. Il Milan spendeva e spandeva, facendo sicuramente degli errori evidenti (specie in attacco), ma comprando alcune delle migliori scelte sul mercato (i vari Bonucci, Biglia, Conti, Kessie), che anche col senno di poi restano comunque degli ottimi giocatori. Nessuno, ma proprio nessuno avrebbe mai potuto immaginare di ritrovarsi a dicembre con questa situazione in classifica.

Il Milan è fuori dalla zona Europa, a 18 punti di distanza dalla vetta e praticamente fuori dalla corsa Champions. Ieri a Benevento ha toccato il fondo, dopo avere già cambiato allenatore. Montella ha grandi responsabilità nel fallimento: con una rosa migliorata rispetto al passato (comunque la si pensi sull’operato di Fassone e Mirabelli, è indiscutibile), si è ritrovato con un saldo negativo di -11 punti. Non è mai riuscito a dare identità ad una rosa tutta nuova, che chiedeva solo di essere plasmata. Inevitabile l’esonero. Ma per sostituirlo la società è andato a prendere la caricatura di un allenatore: senza esperienza, senza grandi idee, con il solo requisito di essere stato un grande del Milan che fu, in campo e non in panchina, però. Dopo una settimana di retorica melensa sul “ringhio” di Gattuso, i rossoneri in casa dell’ultima in classifica hanno offerto una delle loro peggiori prestazioni stagionali. Mister Gattuso non è certo il responsabile, ma come dimostrano le esperienze di Palermo e Pisa non potrà nemmeno essere la soluzione. Senza guida non si va da nessuna parte.

Lo sa bene l’Inter, allo sbando lo scorso anno sotto De Boer e Pioli, ora prima in classifica. Con più o meno la stessa rosa (più un paio di innesti su cui in pochi avrebbero scommesso, vedi l’incredibile Skriniar), non ha mai perso una partita, unica squadra di tutti i campionati professionistici italiani ancora imbattuta, migliora il suo gioco giornata dopo giornata e viaggia sulle ali dell’entusiasmo. Che Icardi e Perisic fossero dei campioni di livello mondiale, si sapeva. Che i vari Brozovic, Candreva e Miranda andassero solo un po’ rispolverati, si poteva anche pensarlo. Ma che Santon, il “bambino” scoperto da Mourinho e poi perso tra errori e strafalcioni al punto da diventare quasi un ex calciatore negli ultimi due anni, potesse ritornare ad alti livelli, titolare e persino determinante sulla fascia sinistra, è quasi un prodigio. Persino Ranocchia, fischiato e reietto, ieri convincente e autoritario al debutto dopo tre mesi di panchina, nelle mani di Spalletti sembra poter trasformarsi in principe. Sono loro, più dei tanti uomini copertina di questa Inter, i veri simboli del miracolo Spalletti. Talmente incredibile, che viene da pensare che ad allenatori invertiti, pure questo Milan avrebbe potuto fare una grande stagione. Ma Spalletti ce l’ha l’Inter. E sabato si gioca la sfida scudetto con la Juve.

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