Porcherie!“. Non ha mai avuto il tempo di arrossire il commissario Rousselot. Quando mandò un suo agente al 50 di rue Taitbout, 11esimo arrondissement, non poteva immaginare – abituato a sedare risse e rincorrere balordi – che cent’anni dopo, se solo ne avesse avuto la possibilità, avrebbe perso gli occhi a contare gli zeri del prezzo di una di quelle che lui chiamò “porcherie”. Il Nu couché, la terza opera d’arte più cara al mondo (dopo il Salvator Mundi di Leonardo e Le donne di Algeri di Picasso), era tra “quei nudi osceni” che fece schiodare dai muri in fretta e furia mettendo fine prima ancora che cominciasse alla prima mostra personale di Amedeo Modigliani con Modì ancora in vita. Dedo, 33 anni e lo spirito di un libeccio a cento all’ora che tutti hanno celebrato, non fece nemmeno in tempo ad arrivare alla galleria: ne uscì amareggiato, c’è chi dice distrutto. Chissà se già allora, nell’anno in cui aveva conosciuto Jeanne, capì che quella storia sarebbe stata il presagio di una vita fino all’ultimo sciagurata.

Questa storia della mostra mai aperta ha cent’anni tra due giorni, il 3 dicembre, e sarà ricordata a Livorno, della quale Modigliani fu figlio oltremodo trascurato nonostante la dimestichezza con l’arte della città dei Macchiaioli. Per raccontare l’episodio di rue Taitbout l’associazione culturale Franco Ferrucci – con il giornalista Maurizio Mini e lo studioso Umberto Falchini – mostrerà e commenterà alla Bottega del Caffè i quadri che quella volta furono negati al pubblico parigino. “Con alcune riproduzioni – spiega Mini, per oltre trent’anni all’ufficio stampa del Comune di Livorno – cercheremo di far rivivere l’atmosfera di quei giorni e idealmente, virtualmente, far svolgere quella mostra che non poté avere luogo”.

Era annunciato come il grande evento artistico di fine anno a Parigi. “Domenica – si leggeva nell’invito – si appendono i quadri e lunedì 3 dicembre vernissage, nudi sontuosi, figure angolose, deliziosi ritratti”. Ma la sfortuna di Modigliani fu in quell’occasione quella Berthe Weill, la gallerista, la prima a vendere un quadro di Picasso, che in quel pittore scalcagnato venuto dall’Italia aveva creduto. La sorte volle, infatti, che le finestre del commissariato di polizia fossero proprio davanti alla galleria, dove cominciavano ad affollarsi appassionati d’arte e passanti, i primi per commentare quello stile all’avanguardia, i secondi attirati dalle forme sinuose in bella mostra dei soggetti dipinti. E purtroppo Rousselot si affacciò: “Ma… che cos’è quella roba? Un nudo?”.

Fu così che mandò di corsa uno dei suoi agenti in borghese per non accendere ulteriormente gli spiriti. “Il signor commissario – disse il poliziotto a voce bassa e con un mezzo sorriso – vi ordina di togliere di lì quel nudo”. Ma la Weill non era tipo da farsi impressionare dal tono mellifluo: “Ah sì? E perché?”. L’agente non se l’aspettava e allora inorgoglito riprese a tono più alto: “Il signor commissario vi ordina di togliere anche quell’altro nudo!”. In realtà tra i 32 dipinti e gli altrettanti disegni in esposizione i nudi non erano solo due, ma la Weill tenne botta. Finché, esausto, il poliziotto le disse di seguirla in commissariato. “Vi ordinò di far sparire tutte quelle porcherie” urlò il commissario Rousselot senza nemmeno dirle buongiorno. “Ma poi cos’hanno mai quei nudi, signor commissario”. “Quei nudi! Quei nudi hanno i peli!”. Nel suo diario la Weill annotò che la voce era così alta che forse lo sentirono anche La Courneuve. Modigliani non vide mai niente di suo esposto al pubblico.

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